Premessa
Si può ritenere che gli obiettivi
che hanno indotto il Ministro a richiedere al Comitato Nazionale di Valutazione
del Sistema Universitario (CNVSU) di formulare dei "requisiti minimi"
per l'attivazione di nuovi corsi di laurea (CL) siano i seguenti:
- il contenimento del numero di corsi di
studio (CdS) attivati, la garanzia che le risorse di varia natura destinate
dagli Atenei a ciascun CdS siano conformi a standard minimi definiti,
la limitazione del numero di nuove iniziative da porre a carico del FFO
ai fini del contenimento della spesa.
A questi obiettivi va però aggiunto un altro obiettivo politico
più volte ribadito ed in via di realizzazione, il decongestionamento
dei mega-atenei e l'eliminazione di CdS con un numero eccessivo di iscritti,
obiettivo il cui conseguimento comporta certamente un aumento del numero
complessivo dei CdS rispetto alla situazione precedente la riforma e che
potrebbe tradursi in termini concreti attraverso la definizione di un
valore massimo nel numero di iscritti per CdS (differenziato per classi).
Occorrerebbe anche trovare un modo per incentivare CdS interfacoltà.
- Appaiono perdenti e quindi inutili quelle
posizioni sui "requisiti minimi" che tendono a rimettere in
discussione gli obiettivi, mentre possono aver successo proposte che meglio
adattino il meccanismo dei requisiti minimi alla variegata realtà
degli atenei italiani
L'applicazione di un sistema di requisiti
minimi alle attività didattiche degli Atenei va quindi considerata
come un fondamentale strumento di garanzia per gli studenti ed una condizione
di base per assicurare la qualità del sistema di formazione superiore.
In particolare, i requisiti minimi possono essere considerati come un
efficace strumento per arginare un'eccessiva proliferazione di corsi nuovi
e per ridurre il numero di quelli già attivati incoraggiando accorpamenti
come curricula all'interno di un unico corso, qualora il numero di immatricolati
sia stato molto basso. Il superamento del vincolo che vieta CdL interclasse
favorirebbe lo stesso obiettivo.
Il Ministero dovrebbe favorire questi accorpamenti consentendo, in tempi
brevi, l'attivazione di un nuovo corso, se questo permettesse l'inserimento,
come curricula, di due corsi già attivati, ma con un numero di
studenti al di sotto della soglia. A fronte di questa autorizzazione,
i due corsi verrebbero ovviamente disattivati, pur rimanendo nell'ordinamento
didattico come istituiti. La loro riaccensione avverrebbe quando i relativi
curricula avessero raggiunto una dimensione sufficiente.
Occorre però sottolineare che l'applicazione di requisiti minimi
in un sistema universitario composto da realtà fortemente diverse,
anche in relazione al raggiungimento di condizioni di regime delle singole
sedi, la sua presentazione successiva all'avvio dei nuovi corsi, la sua
incidenza non solo sui fondi di piano triennale ma anche sul FFO, richiedono
una certa prudenza e una certa gradualità.
Osservazioni in merito alla proposta
del CNVSU
Per quanto riguarda il numero minimo di
immatricolazioni si possono fare le seguenti osservazioni:
1 - il passo di discretizzazione nel determinare la media nazionale di
riferimento, oggi di 50 unità, appare eccessivo e dovrebbe essere
ridotto (ad esempio, 25). Se si vuole mantenere lo stesso passo per non
produrre un aumento della docenza richiesta, un'eccezione potrebbe essere
fatta per i corsi unici in una classe.
2 - il valore standard minimo, pari a 50 per tutte le classi, dovrebbe
essere ridotto (ad esempio, a 30), soprattutto quando il corso è
l'unico della classe
Questa esigenza è sentita soprattutto nel caso di alcuni CdS della
Facoltà di Scienze MFN nei quali il numero di immatricolati è
assai basso, ma le risorse di docenza sono disponibili anche perché
forniscono un servizio didattico di base in altri CdS (tipicamente nelle
aree matematica, fisica e chimica)
3 - le piccole e medie Università, che intendessero attivare CL
presenti in grandi Atenei con un numero di immatricolati molto elevato,
verrebbero escluse adottando lo standard medio nazionale ridotto del 50%.
Si andrebbe in questo modo in direzione opposta a quella del decentramento
e non vi sarebbe nessun incentivo, per queste Università, a crescere
in alcuni settori.
Si può procedere in diversi modi:
a) a ridurre, tout court, i livelli più alti degli standard di
riferimento
b) considerato che la distribuzione degli immatricolati negli Atenei italiani,
in ogni classe, non è normale, si potrebbero ricalcolare le medie
eliminando gli outliers superiori e inferiori. In questo modo si ridurrebbe
l'effetto mega-atenei, ma anche l'effetto miniaturizzazione
c) usare soglie differenziate in relazione alle dimensioni dell'Ateneo
(piccolo, medio, grande).
In relazione al suggerimento di ridurre
le soglie va tuttavia osservato che una decisione in questo senso potrebbe
ripercuotersi negativamente sul conteggio della docenza residua dopo gli
sdoppiamenti.
Con la formula proposta dal CNVSU
(Dimp)cl = 18+I (n° immatricolati effettivi - 1) x 14
Kcl
dove Kcl è lo standard per quella
classe; se Kcl diminuisce, I (…) x 14 aumenta.
(Sul problema degli sdoppiamenti si veda anche l'osservazione riportata
più avanti).
È stato pure suggerito che gli studenti da conteggiare ai fini
dei requisiti minimi siano quelli iscritti al 1° anno, nuove immatricolazioni
e trasferimenti. Il trasferimento al 1° anno è indicativo di
una capacità di attrazione della nuova offerta didattica e va premiato,
non penalizzato. Del resto i requisiti minimi imposti sul numero di studenti
fanno riferimento all'efficacia nell'impiego delle risorse e quindi non
ha senso fare distinzioni tra immatricolazioni e trasferimenti al 1°
anno.
Come osservazione di carattere generale si può notare che la tabella
1 del DOC06/2001, con il calcolo del numero standard di immatricolati
per classe (qui indicato con IS), presenta alcuni risultati decisamente
anomali che mal si rappresentano la situazione reale dell'Università
italiana. Un esempio: le discipline economiche interessano due classi,
la 17, scienze dell'economia e della gestione aziendale, e la 28, scienze
economiche; è universalmente noto che la domanda di formazione
è assai maggiore nell'area dell'economia aziendale che in quella
dell'economia, per cui sarebbe stato logico aspettarsi un valore di IS
maggiore nella classe 17 che nella classe 28. Invece avviene il contrario,
con 200 nella classe 17 e 250 nella 28 (tra l'altro quest'ultimo è
un valore tanto elevato che ci si domanda in quanti atenei esso potrà
essere raggiunto!).
Un problema diverso si pone per le classi che fanno capo alla facoltà
di scienze politiche: è una facoltà che sino a pochi anni
or sono aveva un unico corso di laurea, con diversi indirizzi riconosciuti
formalmente e ben differenziati; l'introduzione delle classi obbliga a
istituire diversi corsi di laurea, ma l'analisi statistica della situazione
precedente comporta valori di IS del tutto sproporzionati alla realtà
media degli atenei italiani.
Anche per la Classe 24 (classe delle lauree in Scienza e Tecnologie Farmaceutiche)
si verifica un'anomalia dovuta al fatto che lo standard di riferimento
è stato calcolato procedendo in due passi: assegnazione dei corsi
di studio attivati negli Atenei italiani nell'a.a. 1999-2000 alle classi
delle lauree istituite con d.m. 4 agosto 2000; rapporto tra immatricolati
totali pertinenti alla classe e numero dei corsi di studio assegnati alla
classe.
Per la classe 24 lo standard di riferimento è 100 (dedotto da circa
7.400 immatricolazioni distribuite in 74 corsi di studio assegnati alla
classe). Questo numero è assolutamente irrealistico ed escluderebbe
i corsi nuovi proposti dalla quasi totalità delle Facoltà
di Farmacia.
Nell'a.a. 2001/2002 gli immatricolati nelle Facoltà di Farmacia
degli Atenei italiani sono circa 4.650, di cui però 3600 (77%)
nei corsi di studio a percorso lungo (Farmacia e CTF) a normativa europea
e quindi esclusi da questo sistema dei requisiti minimi riferito ai nuovi
corsi. Solo poco più di 1.000 (23%) sono iscritti a corsi triennali,
nuovi o da trasformazione di precedenti diplomi. La soglia per l'istituzione
di nuovi corsi dovrebbe riferirsi agli immatricolati 1999-2000 ai corsi
di diploma della classe 24, che non possono essere di molto superiori
agli attuali 1.000 immatricolati ai corsi triennali nell'anno 2001-2002.
Il metodo seguito per la definizione degli
IS si presta quindi a molti rilievi: innanzi tutto, come già accennato
più sopra, sembra che nell'analisi della situazione esistente abbiano
un peso eccessivo nella determinazione di IS i mega-atenei, che peraltro
secondo scelte politiche in via di attuazione dovrebbero vedere fortemente
ridimensionati quegli elefantiaci corsi di studio che li caratterizzavano.
Poi la base dati (che appare includere i corsi di laurea e di diploma
universitario degli atenei statali, ad eccezione di quelli delle Facoltà
di Medicina e chirurgia e di Medicina veterinaria) è disomogenea,
a causa dell'inclusione dei corsi di diploma universitario, che avevano
dimensioni in termini di immatricolati in genere assai minori di quelle
dei corsi di laurea, che non erano uniformemente distribuiti tra tutte
le facoltà ed i cui titoli hanno probabilmente creato qualche problema
di catalogazione nelle classi. Inoltre per alcune discipline i corsi di
laurea attivi nell'aa 1999/00 erano pochissimi (in Psicologia 6 CdL; in
Sociologia 5 CdL e 2 DU, secondo i dati di Nuclei 2001). Va tenuto conto
infine che l'istituzione delle classi rende in diversi casi necessario
articolare un corso di studio del vecchio ordinamento in più corsi
di laurea del nuovo ordinamento, appartenenti a classi diverse, quindi
ad avere CdS con un numero minore di studenti.
La conclusione di tutte queste considerazioni è che il metodo seguito
per definire l'indicatore IS è oggetto di riserve di varia natura
e la sua elaborazione sembra essere stata un po' troppo meccanica e formale
(fondata semplicemente sulla somiglianza di titoli, senza un'analisi delle
realtà sottostanti). Tutto sommato sembrerebbe più ragionevole
utilizzare valori di IS differenziati per aree disciplinari, ricorrendo
alla stessa definizione di aree utilizzata per il calcolo del costo standard
degli studenti nella ripartizione del FFO (la differenziazione dei costi
standard effettivamente riscontrati nella realtà è correlata
anche alla dimensione dei CdS nelle diverse aree disciplinari):
area A: classi riferibili a Giurisprudenza;
area B: classi riferibili a Economia, Scienze politiche, Sociologia;
area C: classi riferibili a Lettere e filosofia, Magistero (ora Scienze
della formazione), Lingue e letterature straniere, Psicologia;
area D: classi riferibili a Architettura, Farmacia, Ingegneria, Scienze
statistiche, demografiche ed attuariali;
area E: classi riferibili a Agraria, Scienze MFN.
Per quanto riguarda i requisiti minimi in termini di docenza si possono
fare le seguenti osservazioni:
Il numero minimo di docenti per coppia di
CdS (Laurea triennale, L3, e Laurea specialistica, LS), stabilito in 18
per il primo CdS della classe e 14 per i CdS successivi al primo, sembra
abbastanza ragionevole (basti pensare che con gli attuali professori e
ricercatori di ruolo sarebbero attivabili circa 3.000 corsi di laurea
triennali ed altrettanti corsi di laurea specialistica soddisfacenti tali
criteri minimi); una modesta diminuzione di questi valori (dell'ordine
del 10-15%) sarebbe indubbiamente utile per le realtà di più
recente istituzione, che non hanno ancora raggiunto una situazione di
regime nella dotazione di risorse di docenza. Il requisito della disponibilità
di risorse minime per i CdS, e tra queste di risorse minime di docenza
di ruolo, dovrebbe però essere applicato in modo omogeneo a tutte
le istituzioni universitarie, siano esse statali o non statali, a garanzia
di qualità del servizio formativo.
La riduzione (ad es. da 18 a 15 e da 14
a 10) potrebbe essere giustificata da un maggior apporto di docenza dall'esterno
(dal 10% al 20%), seguendo, in questo caso, la direzione di un rapporto
più stretto con il mondo delle professioni (non sarebbe così
se tutto il 20% fosse riservato a supplenze da altre Università).
La condivisione di insegnamenti tra più corsi della stessa classe
nel primo anno è un fatto assai frequente e di proporzioni significative.
La riduzione da 18 a 14 per ogni corso successivo al primo non sembra
tenere conto sufficientemente conto di questo.
Infine il Doc. 15/2001 introduce un vincolo
relativo agli sdoppiamenti che, nella formulazione adottata, appare inaccettabile.
Al paragrafo 2.2, 3° capoverso, afferma: "Nuovi corsi di laurea
potranno considerarsi conformi ai criteri della programmazione solo se
siano stati previamente disposti gli sdoppiamenti resi necessari per mantenere
il numero degli studenti all'interno degli standard fissati." A parte
il fatto che non si capisce cosa significhi la locuzione "all'interno
degli standard fissati", l'obbligo appare assurdo: se infatti un
CdS è troppo numeroso, l'Ateneo potrebbe correttamente decidere
di differenziare l'offerta didattica istituendo due CdS nella stessa classe
con obiettivi formativi diversi, invece che sdoppiare semplicemente il
CdS esistente; ma la norma citata, presa alla lettera, impedirebbe questa
ovvia soluzione. Piuttosto, al fine di conseguire l'obiettivo lasciando
all'Ateneo la scelta del metodo più conveniente nella situazione
specifica, sarebbe meglio disincentivare l'esistenza di CdS troppo numerosi,
stabilendo, ad esempio, che il numero di studenti in corso utilizzabile
nel calcolo del FFO non può superare il doppio (o il triplo) dell'indicatore
IS relativo alla classe, moltiplicato per la durata legale del CdS stesso.
Anche in questo caso, il disincentivo dovrebbe venire annunciato e poi
applicato tra un anno.
Per quanto riguarda i requisiti minimi relativi
agli spazi, laboratori, biblioteche e servizi, la loro definizione, al
momento attuale non può che rimanere vaga, perché sarebbe
estremamente difficile verificare l'attendibilità dei dati forniti.
Pertanto, finché non ci sarà una definizione precisa, è
meglio non applicarli.
Sarebbe opportuno annunciare che vi sarà un'osservazione continua
dei risultati ottenuti e delle valutazioni espresse, anche dagli studenti
in merito ad un'adeguata disponibilità di risorse (docenza, attrezzature,
servizi, ecc.).
Questa valutazione dovrà avere conseguenze nell'assegnazione di
risorse.
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