Parere approvato all'unanimità dall'Assemblea della CRUI sul documento 15/01 del CNVSU
sui requisiti minimi
Roma, 22 novembre 2001



Premessa

Si può ritenere che gli obiettivi che hanno indotto il Ministro a richiedere al Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario (CNVSU) di formulare dei "requisiti minimi" per l'attivazione di nuovi corsi di laurea (CL) siano i seguenti:

- il contenimento del numero di corsi di studio (CdS) attivati, la garanzia che le risorse di varia natura destinate dagli Atenei a ciascun CdS siano conformi a standard minimi definiti, la limitazione del numero di nuove iniziative da porre a carico del FFO ai fini del contenimento della spesa.
A questi obiettivi va però aggiunto un altro obiettivo politico più volte ribadito ed in via di realizzazione, il decongestionamento dei mega-atenei e l'eliminazione di CdS con un numero eccessivo di iscritti, obiettivo il cui conseguimento comporta certamente un aumento del numero complessivo dei CdS rispetto alla situazione precedente la riforma e che potrebbe tradursi in termini concreti attraverso la definizione di un valore massimo nel numero di iscritti per CdS (differenziato per classi). Occorrerebbe anche trovare un modo per incentivare CdS interfacoltà.

- Appaiono perdenti e quindi inutili quelle posizioni sui "requisiti minimi" che tendono a rimettere in discussione gli obiettivi, mentre possono aver successo proposte che meglio adattino il meccanismo dei requisiti minimi alla variegata realtà degli atenei italiani

L'applicazione di un sistema di requisiti minimi alle attività didattiche degli Atenei va quindi considerata come un fondamentale strumento di garanzia per gli studenti ed una condizione di base per assicurare la qualità del sistema di formazione superiore. In particolare, i requisiti minimi possono essere considerati come un efficace strumento per arginare un'eccessiva proliferazione di corsi nuovi e per ridurre il numero di quelli già attivati incoraggiando accorpamenti come curricula all'interno di un unico corso, qualora il numero di immatricolati sia stato molto basso. Il superamento del vincolo che vieta CdL interclasse favorirebbe lo stesso obiettivo.
Il Ministero dovrebbe favorire questi accorpamenti consentendo, in tempi brevi, l'attivazione di un nuovo corso, se questo permettesse l'inserimento, come curricula, di due corsi già attivati, ma con un numero di studenti al di sotto della soglia. A fronte di questa autorizzazione, i due corsi verrebbero ovviamente disattivati, pur rimanendo nell'ordinamento didattico come istituiti. La loro riaccensione avverrebbe quando i relativi curricula avessero raggiunto una dimensione sufficiente.
Occorre però sottolineare che l'applicazione di requisiti minimi in un sistema universitario composto da realtà fortemente diverse, anche in relazione al raggiungimento di condizioni di regime delle singole sedi, la sua presentazione successiva all'avvio dei nuovi corsi, la sua incidenza non solo sui fondi di piano triennale ma anche sul FFO, richiedono una certa prudenza e una certa gradualità.

Osservazioni in merito alla proposta del CNVSU

Per quanto riguarda il numero minimo di immatricolazioni si possono fare le seguenti osservazioni:
1 - il passo di discretizzazione nel determinare la media nazionale di riferimento, oggi di 50 unità, appare eccessivo e dovrebbe essere ridotto (ad esempio, 25). Se si vuole mantenere lo stesso passo per non produrre un aumento della docenza richiesta, un'eccezione potrebbe essere fatta per i corsi unici in una classe.
2 - il valore standard minimo, pari a 50 per tutte le classi, dovrebbe essere ridotto (ad esempio, a 30), soprattutto quando il corso è l'unico della classe
Questa esigenza è sentita soprattutto nel caso di alcuni CdS della Facoltà di Scienze MFN nei quali il numero di immatricolati è assai basso, ma le risorse di docenza sono disponibili anche perché forniscono un servizio didattico di base in altri CdS (tipicamente nelle aree matematica, fisica e chimica)
3 - le piccole e medie Università, che intendessero attivare CL presenti in grandi Atenei con un numero di immatricolati molto elevato, verrebbero escluse adottando lo standard medio nazionale ridotto del 50%. Si andrebbe in questo modo in direzione opposta a quella del decentramento e non vi sarebbe nessun incentivo, per queste Università, a crescere in alcuni settori.
Si può procedere in diversi modi:
a) a ridurre, tout court, i livelli più alti degli standard di riferimento
b) considerato che la distribuzione degli immatricolati negli Atenei italiani, in ogni classe, non è normale, si potrebbero ricalcolare le medie eliminando gli outliers superiori e inferiori. In questo modo si ridurrebbe l'effetto mega-atenei, ma anche l'effetto miniaturizzazione
c) usare soglie differenziate in relazione alle dimensioni dell'Ateneo (piccolo, medio, grande).

In relazione al suggerimento di ridurre le soglie va tuttavia osservato che una decisione in questo senso potrebbe ripercuotersi negativamente sul conteggio della docenza residua dopo gli sdoppiamenti.
Con la formula proposta dal CNVSU
(Dimp)cl = 18+I (n° immatricolati effettivi - 1) x 14
Kcl

dove Kcl è lo standard per quella classe; se Kcl diminuisce, I (…) x 14 aumenta.
(Sul problema degli sdoppiamenti si veda anche l'osservazione riportata più avanti).


È stato pure suggerito che gli studenti da conteggiare ai fini dei requisiti minimi siano quelli iscritti al 1° anno, nuove immatricolazioni e trasferimenti. Il trasferimento al 1° anno è indicativo di una capacità di attrazione della nuova offerta didattica e va premiato, non penalizzato. Del resto i requisiti minimi imposti sul numero di studenti fanno riferimento all'efficacia nell'impiego delle risorse e quindi non ha senso fare distinzioni tra immatricolazioni e trasferimenti al 1° anno.
Come osservazione di carattere generale si può notare che la tabella 1 del DOC06/2001, con il calcolo del numero standard di immatricolati per classe (qui indicato con IS), presenta alcuni risultati decisamente anomali che mal si rappresentano la situazione reale dell'Università italiana. Un esempio: le discipline economiche interessano due classi, la 17, scienze dell'economia e della gestione aziendale, e la 28, scienze economiche; è universalmente noto che la domanda di formazione è assai maggiore nell'area dell'economia aziendale che in quella dell'economia, per cui sarebbe stato logico aspettarsi un valore di IS maggiore nella classe 17 che nella classe 28. Invece avviene il contrario, con 200 nella classe 17 e 250 nella 28 (tra l'altro quest'ultimo è un valore tanto elevato che ci si domanda in quanti atenei esso potrà essere raggiunto!).

Un problema diverso si pone per le classi che fanno capo alla facoltà di scienze politiche: è una facoltà che sino a pochi anni or sono aveva un unico corso di laurea, con diversi indirizzi riconosciuti formalmente e ben differenziati; l'introduzione delle classi obbliga a istituire diversi corsi di laurea, ma l'analisi statistica della situazione precedente comporta valori di IS del tutto sproporzionati alla realtà media degli atenei italiani.

Anche per la Classe 24 (classe delle lauree in Scienza e Tecnologie Farmaceutiche) si verifica un'anomalia dovuta al fatto che lo standard di riferimento è stato calcolato procedendo in due passi: assegnazione dei corsi di studio attivati negli Atenei italiani nell'a.a. 1999-2000 alle classi delle lauree istituite con d.m. 4 agosto 2000; rapporto tra immatricolati totali pertinenti alla classe e numero dei corsi di studio assegnati alla classe.
Per la classe 24 lo standard di riferimento è 100 (dedotto da circa 7.400 immatricolazioni distribuite in 74 corsi di studio assegnati alla classe). Questo numero è assolutamente irrealistico ed escluderebbe i corsi nuovi proposti dalla quasi totalità delle Facoltà di Farmacia.
Nell'a.a. 2001/2002 gli immatricolati nelle Facoltà di Farmacia degli Atenei italiani sono circa 4.650, di cui però 3600 (77%) nei corsi di studio a percorso lungo (Farmacia e CTF) a normativa europea e quindi esclusi da questo sistema dei requisiti minimi riferito ai nuovi corsi. Solo poco più di 1.000 (23%) sono iscritti a corsi triennali, nuovi o da trasformazione di precedenti diplomi. La soglia per l'istituzione di nuovi corsi dovrebbe riferirsi agli immatricolati 1999-2000 ai corsi di diploma della classe 24, che non possono essere di molto superiori agli attuali 1.000 immatricolati ai corsi triennali nell'anno 2001-2002.

Il metodo seguito per la definizione degli IS si presta quindi a molti rilievi: innanzi tutto, come già accennato più sopra, sembra che nell'analisi della situazione esistente abbiano un peso eccessivo nella determinazione di IS i mega-atenei, che peraltro secondo scelte politiche in via di attuazione dovrebbero vedere fortemente ridimensionati quegli elefantiaci corsi di studio che li caratterizzavano. Poi la base dati (che appare includere i corsi di laurea e di diploma universitario degli atenei statali, ad eccezione di quelli delle Facoltà di Medicina e chirurgia e di Medicina veterinaria) è disomogenea, a causa dell'inclusione dei corsi di diploma universitario, che avevano dimensioni in termini di immatricolati in genere assai minori di quelle dei corsi di laurea, che non erano uniformemente distribuiti tra tutte le facoltà ed i cui titoli hanno probabilmente creato qualche problema di catalogazione nelle classi. Inoltre per alcune discipline i corsi di laurea attivi nell'aa 1999/00 erano pochissimi (in Psicologia 6 CdL; in Sociologia 5 CdL e 2 DU, secondo i dati di Nuclei 2001). Va tenuto conto infine che l'istituzione delle classi rende in diversi casi necessario articolare un corso di studio del vecchio ordinamento in più corsi di laurea del nuovo ordinamento, appartenenti a classi diverse, quindi ad avere CdS con un numero minore di studenti.
La conclusione di tutte queste considerazioni è che il metodo seguito per definire l'indicatore IS è oggetto di riserve di varia natura e la sua elaborazione sembra essere stata un po' troppo meccanica e formale (fondata semplicemente sulla somiglianza di titoli, senza un'analisi delle realtà sottostanti). Tutto sommato sembrerebbe più ragionevole utilizzare valori di IS differenziati per aree disciplinari, ricorrendo alla stessa definizione di aree utilizzata per il calcolo del costo standard degli studenti nella ripartizione del FFO (la differenziazione dei costi standard effettivamente riscontrati nella realtà è correlata anche alla dimensione dei CdS nelle diverse aree disciplinari):
area A: classi riferibili a Giurisprudenza;
area B: classi riferibili a Economia, Scienze politiche, Sociologia;
area C: classi riferibili a Lettere e filosofia, Magistero (ora Scienze della formazione), Lingue e letterature straniere, Psicologia;
area D: classi riferibili a Architettura, Farmacia, Ingegneria, Scienze statistiche, demografiche ed attuariali;
area E: classi riferibili a Agraria, Scienze MFN.


Per quanto riguarda i requisiti minimi in termini di docenza si possono fare le seguenti osservazioni:

Il numero minimo di docenti per coppia di CdS (Laurea triennale, L3, e Laurea specialistica, LS), stabilito in 18 per il primo CdS della classe e 14 per i CdS successivi al primo, sembra abbastanza ragionevole (basti pensare che con gli attuali professori e ricercatori di ruolo sarebbero attivabili circa 3.000 corsi di laurea triennali ed altrettanti corsi di laurea specialistica soddisfacenti tali criteri minimi); una modesta diminuzione di questi valori (dell'ordine del 10-15%) sarebbe indubbiamente utile per le realtà di più recente istituzione, che non hanno ancora raggiunto una situazione di regime nella dotazione di risorse di docenza. Il requisito della disponibilità di risorse minime per i CdS, e tra queste di risorse minime di docenza di ruolo, dovrebbe però essere applicato in modo omogeneo a tutte le istituzioni universitarie, siano esse statali o non statali, a garanzia di qualità del servizio formativo.

La riduzione (ad es. da 18 a 15 e da 14 a 10) potrebbe essere giustificata da un maggior apporto di docenza dall'esterno (dal 10% al 20%), seguendo, in questo caso, la direzione di un rapporto più stretto con il mondo delle professioni (non sarebbe così se tutto il 20% fosse riservato a supplenze da altre Università).
La condivisione di insegnamenti tra più corsi della stessa classe nel primo anno è un fatto assai frequente e di proporzioni significative. La riduzione da 18 a 14 per ogni corso successivo al primo non sembra tenere conto sufficientemente conto di questo.

Infine il Doc. 15/2001 introduce un vincolo relativo agli sdoppiamenti che, nella formulazione adottata, appare inaccettabile. Al paragrafo 2.2, 3° capoverso, afferma: "Nuovi corsi di laurea potranno considerarsi conformi ai criteri della programmazione solo se siano stati previamente disposti gli sdoppiamenti resi necessari per mantenere il numero degli studenti all'interno degli standard fissati." A parte il fatto che non si capisce cosa significhi la locuzione "all'interno degli standard fissati", l'obbligo appare assurdo: se infatti un CdS è troppo numeroso, l'Ateneo potrebbe correttamente decidere di differenziare l'offerta didattica istituendo due CdS nella stessa classe con obiettivi formativi diversi, invece che sdoppiare semplicemente il CdS esistente; ma la norma citata, presa alla lettera, impedirebbe questa ovvia soluzione. Piuttosto, al fine di conseguire l'obiettivo lasciando all'Ateneo la scelta del metodo più conveniente nella situazione specifica, sarebbe meglio disincentivare l'esistenza di CdS troppo numerosi, stabilendo, ad esempio, che il numero di studenti in corso utilizzabile nel calcolo del FFO non può superare il doppio (o il triplo) dell'indicatore IS relativo alla classe, moltiplicato per la durata legale del CdS stesso.
Anche in questo caso, il disincentivo dovrebbe venire annunciato e poi applicato tra un anno.

Per quanto riguarda i requisiti minimi relativi agli spazi, laboratori, biblioteche e servizi, la loro definizione, al momento attuale non può che rimanere vaga, perché sarebbe estremamente difficile verificare l'attendibilità dei dati forniti. Pertanto, finché non ci sarà una definizione precisa, è meglio non applicarli.
Sarebbe opportuno annunciare che vi sarà un'osservazione continua dei risultati ottenuti e delle valutazioni espresse, anche dagli studenti in merito ad un'adeguata disponibilità di risorse (docenza, attrezzature, servizi, ecc.).
Questa valutazione dovrà avere conseguenze nell'assegnazione di risorse.


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