DOCUMENTO APPROVATO ALL’UNANIMITA’

DALL’ASSEMBLEA DELLA CONFERENZA DEI RETTORI

14 DICEMBRE 2000

 

La Conferenza dei Rettori ha discusso nell’Assemblea del 14 dicembre 2000 le problematiche tecniche riguardanti il varo della riforma dell’autonomia didattica in applicazione del DM 509/99 e dei decreti ministeriali sulle classi delle lauree (DM 4/8/00) e delle lauree specialistiche (quest’ultimo ancora in fase di emanazione insieme a quelli sulle classi delle lauree e delle lauree specialistiche nell’ambito delle discipline sanitarie e della sicurezza).

 

La Conferenza intende agevolare e coordinare gli atenei in questa difficile fase chiarendo gli adempimenti e suggerendo interpretazioni delle norme, allo scopo di facilitare un decollo generalizzato della nuova architettura degli studi a partire dall’anno accademico 2001/2002. Naturalmente ogni università rimane pienamente autonoma nelle scelte procedurali ed interpretative oltre che ovviamente in quelle riguardanti le strategie culturali.

 

Prendendo spunto dai temi discussi nell’approfondito dibattito che si è svolto l’11 dicembre in seno alla commissione CRUI dei delegati rettorali alla didattica e poi il 13 dicembre al comitato di presidenza, l’Assemblea ha preso posizione su alcuni punti focali, nell’intento di fornire alcune linee guida preliminari che potranno essere perfezionate e completate nel prossimo futuro.

 

Il Presidente Modica, il responsabile per la didattica Rettore Pecere e i rappresentanti della CRUI al CUN Rettori Castorani, Dalla Torre e Febbrajo presenteranno questa posizione al prossimo incontro con il Presidente del CUN durante il quale, su proposta del Presidente Labruna, sarà discussa l’opportunità di istituire un tavolo di concertazione tra CRUI e CUN sulle procedure di approvazione dei regolamenti didattici di ateneo.

 

I punti su cui l’Assemblea ha espresso unanime consenso sono i seguenti.

 

  1. Ordinamenti didattici (art. 11, c. 1 del DM 509).  
    Innanzitutto occorre non fare confusione tra i molti documenti che contengono gli ordinamenti didattici. Prima delle leggi 168/89 sull’autonomia statutaria e 341/90 sull’autonomia didattica, gli ordinamenti dei corsi di laurea  erano contenuti negli statuti tradizionali delle università nella forma di “recepimento” delle tabelle nazionali. In seguito, con il varo degli statuti autonomi (ex L. 168/89), gli ordinamenti didattici avrebbero dovuto essere trasferiti nei regolamenti didattici di ateneo (ex L. 341/90). Però non tutte le università lo hanno fatto; inoltre alcune, pur avendo emanato il regolamento didattico di ateneo, non vi hanno inserito gli ordinamenti didattici e hanno continuato a far riferimento a quelli contenuti nel vecchio statuto pre-autonomia.    
    Si suggerisce dunque di cogliere quest’occasione per fare chiarezza, inserendo nel (nuovo) regolamento didattico di ateneo esclusivamente gli ordinamenti didattici ex DM 509 e rinviando – per la fase transitoria di conclusione degli studi afferenti ai vecchi ordinamenti didattici – ai documenti precedenti, correttamente e precisamente individuati in un’apposita norma transitoria del (nuovo) regolamento didattico.        
    Le università che hanno in vigore un regolamento didattico di ateneo possono procedere per emendamenti da inviare all’approvazione del Ministro. Se gli emendamenti fossero troppi o troppo intricati, è conveniente ricorrere ad un maxi-emendamento che sostituisca intere parti o tutto il regolamento didattico vigente.            
    Si suggerisce di inviare in ogni caso al Ministero un testo completo del regolamento didattico di ateneo come risulta dagli emendamenti proposti, in modo da facilitare l’attività degli uffici ministeriali incaricati del controllo e del CUN stesso.
    Si suggerisce altresì che gli ordinamenti didattici o norme di carattere didattico, salvo che non siano estremamente generali, non siano in nessun caso inseriti negli statuti autonomi. A questo proposito si faccia attenzione a quegli statuti autonomi che contengono al loro interno un riferimento ai (vecchi) titoli di studio conferiti dall’università o che abbiano norme che costituiscano fonte primaria del regolamento didattico. In questo caso l’università interessata, con le procedure della legge 168, deve provvedere ad adeguare il proprio statuto al DM 509, prima dell’approvazione del regolamento didattico o almeno contestualmente ad essa.
  2. Procedure di approvazione del regolamento didattico di ateneo.          
    La procedura di approvazione, da parte dell’ateneo, del regolamento didattico di ateneo è regolamentata autonomamente dalle università. E’ utile però ricordare un adempimento fissato dall’art. 11, c. 4 del DM 509.    
    E’ obbligatorio consultare le organizzazioni rappresentative a livello locale del mondo della produzione, dei servizi e delle professioni sugli obiettivi formativi di ciascun corso di studio e sul quadro generale delle relative attività formative, anche se il parere reso da queste organizzazioni non è vincolante. Si ritiene che la consultazione possa avvenire mediante comitati o osservatori nominati dalle università in accordo con le organizzazioni imprenditoriali, sindacali, professionali e con le amministrazioni locali, anche utilizzando la dimensione provinciale o regionale. La composizione di questi comitati o osservatori è materia lasciata all’autonomia delle università. Delle modalità e dei risultati della consultazione occorre dar atto nelle delibere di approvazione degli ordinamenti didattici da parte degli organi accademici.    
    Le norme vigenti non prevedono invece il parere di commissioni paritetiche o di organi studenteschi sugli ordinamenti didattici, fatto salvo naturalmente quello espresso dai rappresentanti degli studenti negli organi accademici. Quando invece il parere di commissioni paritetiche o organi studenteschi è previsto dallo statuto dell’università, occorre darne atto nelle delibere di approvazione degli ordinamenti didattici da parte degli organi accademici. Si tenga presente che, per quanto riguarda i regolamenti di corso di studio, è obbligatorio – e in certa misura vincolante salvo delibera motivata del senato accademico – il parere delle commissioni didattiche paritetiche sulla coerenza tra i crediti assegnati alle attività formative e gli specifici obiettivi formativi programmati (art. 12, c. 3 del DM 509). Poiché i regolamenti di corso di studio discendono direttamente dagli ordinamenti didattici, potrebbe risultare utile e significativo consultare gli studenti anche sul regolamento didattico di ateneo.
    Il regolamento didattico di ateneo, una volta approvato dagli organi accademici (sentiti, quando sia il caso, il nucleo di valutazione e il comitato regionale di coordinamento), viene inviato al Ministero per l’approvazione. Il Ministro è tenuto a chiedere il parere (non vincolante) del CUN. 
    Si ritiene che il controllo del Ministero e del CUN non si possa riferire a quelle parti del regolamento che ricadono nella sfera di autonomia dell’università. Ad esempio, un’università che abbia rispettato, per un dato corso di laurea, gli obiettivi formativi generali e i vincoli minimi sui crediti contenuti nel decreto ministeriale sulle classi delle lauree non dovrebbe ricevere dal Ministero alcuna indicazione vincolante sulle scelte effettuate in tema di obiettivi formativi specifici e di schema delle attività formative (loro natura, settori di riferimento, crediti assegnati). Infatti, ai sensi dell’art. 2, c. 2 del DM 509, i limiti all’autonomia didattica delle università sono rappresentati esclusivamente dal DM 509 e dai decreti ministeriali sulle classi delle lauree e delle lauree specialistiche. 
    Sembra invece legittimo il controllo da parte del Ministero, sentito il CUN, della coerenza della denominazione del corso di studio (art. 7 del DM 4/8/00) e degli obiettivi formativi specifici con lo schema generale delle attività formative scelto dall’ateneo.
  3. Parti del regolamento didattico e principali contenuti dell’articolato.           
    I (nuovi) regolamenti didattici di ateneo saranno di norma costituiti da due parti: un articolato, contenente le norme relative agli “aspetti di organizzazione dell’attività didattica comuni ai corsi di studio” (art. 11, c.7 del DM 509), e una serie di allegati, contenenti ognuno l’ordinamento didattico di ciascun corso di studio istituito dall’ateneo.    
    Si ricordi che sono corsi di studio anche i corsi di specializzazione ex DM 509 ma si ritiene che l’inserimento dei loro ordinamenti didattici nel regolamento didattico di ateneo possa essere rimandato rispetto a quello dei corsi di laurea e di laurea specialistica. Non è previsto che faccia parte del regolamento didattico di ateneo – né del resto deve essere sottoposto ad approvazione da parte del Ministro – il regolamento del dottorato di ricerca di cui all’art. 4, c. 2 della legge 210/98.           
    Per quanto riguarda l’articolato, si suggerisce di mantenerlo il più possibile snello, rispettando le prescrizioni del 509 senza aggiungerci – o senza lasciarci – norme che possono più correttamente trovare posto in altri regolamenti o addirittura nello statuto.            
    Tra le norme che possono trovare posto altrove si citano, a titolo esemplificativo, quelle riguardanti la gestione della didattica (composizione e compiti dei consigli di corso di laurea o di laurea specialistica o di facoltà o, eventualmente, di classe, etc.) e quelle riguardanti l’organizzazione di singoli corsi di studio (elenco di insegnamenti, curricula e piani di studio, propedeuticità tra discipline, etc.). Si segnala al riguardo che il regolamento didattico di ogni singolo corso di studio (art. 12 del DM 509) ha una procedura di approvazione interna all’ateneo, mentre ogni modifica del regolamento didattico di ateneo richiede l’approvazione del Ministro e il parere del CUN.
  4. Contenuti obbligatori dell’articolato.           
    Sempre tenendo ferma l’attenzione sull’articolato, i contenuti obbligatori del regolamento didattico di ateneo derivano da molti articoli e commi del DM 509, in particolare dall’articolo 11, comma 7, lettere da a) ad n). Qualche altro contenuto obbligatorio deriva dagli articolati dei decreti ministeriali sulle classi delle lauree e delle lauree specialistiche. Un’interessante analisi, ancora parziale e non definitiva, dei contenuti obbligatori dei regolamenti didattici di ateneo è contenuta in un documento preparato dalla segreteria particolare del Sottosegretario Guerzoni (vedi allegato).        
    Se, da un punto di vista formale, nessun regolamento didattico di ateneo potrebbe essere approvato dal Ministro senza il puntuale inserimento di tutti i contenuti obbligatori, da un punto di vista sostanziale sarebbe auspicabile, e in certi casi necessaria, un’attenzione del Ministero e del CUN differenziata rispetto ai vari punti, perché ben diversa è la loro importanza ai fini di un corretto e rapido avvio della riforma.            
    Ad esempio le regole della programmazione, coordinamento e verifica dei risultati delle attività formative, degli esami di profitto, della valutazione della preparazione iniziale degli studenti, dell’orientamento e del tutorato, della valutazione della qualità, etc. (art. 11, c. 7 del DM 509) appaiono essere contenuti qualificanti del regolamento didattico di ateneo. Invece la disciplina dei corsi di master (art. 3, c. 8 del DM 509), le procedure e i criteri generali per il riconoscimento dei crediti in occasione dei trasferimenti di corso di studio o di università (art. 5, c. 5 del DM 509), le modalità del supplemento al diploma (art. 11, c. 8 del DM 509) appaiono, almeno in prima battuta, meno importanti ai fini della riforma.
  5. I prospetti di ciascun corso di studio.
    Per ciascun corso di studio che un’università intende istituire, il regolamento didattico di ateneo conterrà in allegato il suo ordinamento didattico, ovvero            
    - la denominazione del corso di studio (laurea in …), che è liberamente scelta dall’ateneo purché in coerenza con gli obiettivi specifici e con le attività formative previste,          
    - la classe di appartenenza,
    - gli obiettivi formativi specifici,          
    - il quadro generale delle attività formative,      
    - le caratteristiche della prova finale.  
    La possibilità che un corso di studio appartenga a due (o più) classi è ancora sub judice. Di certo, perché questo sia possibile, dovranno essere rispettati entrambi gli obiettivi formativi generali e i vincoli minimi sui crediti fissati dal decreto ministeriale per ciascuna classe. Dovrà comunque essere un’eccezione riservata a quei corsi di studio che si situano effettivamente al confine tra due classi. D’altra parte sembrerebbe opportuno non escluderla a priori, perché tutte o quasi tutte le innovazioni curricolari più interessanti nascono usualmente in zone interdisciplinari o di confine in una qualunque partizione dei saperi. 
    Gli obiettivi formativi specifici dovranno rispondere agli obiettivi formativi generali della classe come indicati nel decreto ministeriale ma dovranno soprattutto dare una fisionomia specifica a quel corso di studio con quella particolare denominazione che l’università intende offrire agli studenti, tenendo conto delle vocazioni culturali e organizzative che ogni ateneo è in grado di esprimere.       
    E’ affidata all’autonomia dell’ateneo la scelta riguardante le caratteristiche della prova finale di ogni singolo corso di laurea. Può essere il superamento di un esame finale, la stesura di un tema, la realizzazione di un progetto, lo svolgimento di un test, o qualunque altro metodo che permetta un giudizio complessivo sulle competenze e abilità acquisite dal laureando. Per la laurea specialistica, invece, è obbligatoria (art. 11, c. 5 del DM 509) la presentazione di una tesi elaborata in modo originale dallo studente e quindi la prova finale sarà di norma la discussione di questa tesi.     
    Nonostante che il DM 509 non ne parli, è conveniente che nel prospetto di un corso di studio sia indicata la facoltà entro cui il corso si svolge ovvero le facoltà che concorrono ad organizzarlo. Per i corsi interfacoltà, è di nuovo il regolamento didattico di ateneo (ma anche, eventualmente, lo statuto) che stabilisce le norme di funzionamento (art. 2, c. 2 del DM 4/8/00).          
    Si può dare anche il caso di corsi di studio organizzati congiuntamente da più università (art. 3, c. 9 del DM 509). Si ritiene che in questi casi l’identico prospetto del corso di studio deve entrare a far parte del regolamento didattico di tutte le università convenzionate tra loro per il rilascio del titolo.
  6. Il quadro generale delle attività formative.      
    Una parte importante dell’ordinamento didattico è data dal quadro generale delle attività formative, destinato ad individuare il “cocktail” di attività formative che servono a raggiungere gli obiettivi formativi specifici del corso di studio. 
    Si ritiene conveniente che questo quadro sia dato nella forma di un prospetto che elenchi le varie attività formative che costituiscono l’ordinamento didattico del corso di studio e il numero di crediti assegnati a ciascuna. Di ciascuna attività formativa sarà indicata la natura (ad esempio: corsi di insegnamento, corsi di laboratorio, seminari, tirocini, etc.) e, nel caso di attività formative riconducibili a discipline – tipicamente i corsi di insegnamento – occorrerà anche indicare il settore o i settori scientifico-disciplinari di riferimento. Non si indicheranno invece i settori per le attività formative non riconducibili a discipline, come ad esempio i tirocini, l’orientamento intra-curricolare, le prove di conoscenza della lingua straniera, ovvero per quelle attività formative da lasciare alla totale autonomia dello studente (che coprono, al minimo, il 5% del totale dei crediti).           
    Il totale dei crediti riportati sul prospetto delle attività formative deve essere eguale a 180 per la laurea ed a 300 per la laurea specialistica. In questo modo sia il Ministero che lo studente interessato potranno avere un’informazione completa, anche se non dettagliata, sulle attività formative che compongono il corso di studio. Poiché è possibile associare i corsi di insegnamento a più settori, il livello di dettaglio a cui deve arrivare l’ordinamento didattico è lasciato all’autonoma determinazione dell’università. In linea generale apparirebbe ragionevole attribuire i crediti ad un solo settore, o ad alcuni settori molto omogenei tra loro, nel caso delle materie fondamentali e indispensabili del corso di studio. La flessibilità dei diversi curricula o piani di studio che possono comporre il corso di studio potrebbe invece essere assicurata da un certo numero di crediti assegnato ad un insieme più ampio e meno omogeneo di settori, tra i quali la scelta, per ogni singolo curriculum, sarebbe affidata al regolamento didattico del corso di studio. 
    Non c’è alcuna necessità (ma vi è anzi qualche controindicazione) di far riferimento, nel prospetto delle attività formative, alle tipologie e agli ambiti utilizzati dal decreto ministeriale sulle classi per stabilire i vincoli nazionali in termini di numero minimo di crediti. Ciò che invece sarebbe importante, anche per facilitare l’opera di verifica del Ministero e del CUN, è che ogni ateneo trasmetta, insieme a ciascun ordinamento didattico, una tabella che mostri come la propria proposta rispetta i vincoli minimi della classe fissati dal decreto ministeriale. In questo “documento di controllo”, che non fa parte del regolamento didattico di ateneo, occorrerà indicare insomma quali attività formative del prospetto vengono a soddisfare, per ogni tipologia di attività formativa e per ciascun ambito, i vincoli indicati nella tabella ministeriale.     
    A questo proposito occorre ricordare che ogni ambito presente nella tabella ministeriale di una classe deve essere rappresentato da almeno 1 credito nel prospetto delle attività formative di un corso di studio di quella classe istituito da un’università.  
    L’unica eccezione è rappresentata dal caso in cui gli ambiti per attività formative caratterizzanti sono più di 3. In questo caso è sufficiente assegnare almeno 1 credito ad almeno 3 degli ambiti indicati. Gli altri ambiti, cui si assegnano 0 crediti, possono essere aggiunti alla lista degli ambiti delle attività formative affini o integrative, senza peraltro sostituire quelli già presenti per questa tipologia nel decreto ministeriale.     
    La scelta dei settori (uno solo, alcuni, tutti), facenti parte di un dato ambito, in cui realizzare le attività formative è invece compito esclusivo ed autonomo dell’ateneo.
  7. Più corsi di laurea o più curricula?      
    Rimane aperto il problema se, nella medesima classe, sia conveniente istituire più corsi di laurea a seconda delle differenti figure professionali da formare, ovvero invece istituire più curricula dello stesso corso di laurea. Non è un problema che possa avere una soluzione generale e va affrontato caso per caso. Istituire diversi corsi di laurea facilita certamente la visibilità e il “marketing” delle differenti offerte formative degli atenei ma richiede inevitabilmente più risorse. Costituisce inoltre un sistema più rigido perché richiede la stesura e la “manutenzione” di molti ordinamenti didattici da sottoporre all’approvazione del Ministero.      
    Il fiorire di molti corsi di laurea può anche dipendere dalla speranza che ciò attiri più risorse finanziarie ministeriali. Sarebbe opportuno, a questo proposito, che il Ministero confermi definitivamente e ufficialmente che i finanziamenti statali non dipenderanno dal numero dei corsi di laurea attivati.
  8. Istituzione e attivazione dei corsi di studio.
    Il DM 509 (art. 9) fa distinzione tra l’istituzione di un corso di studio, che corrisponde all’inserimento del suo ordinamento didattico nel regolamento didattico di ateneo, e l’attivazione di un corso di studio, che dipende dalla disponibilità di risorse e di studenti. Un corso di studio può anche essere temporaneamente o definitivamente disattivato dandone comunicazione al Ministero ma garantendo la conclusione degli studi agli studenti già iscritti.  
  9. Procedure per la trasformazione dei vecchi corsi di laurea e di diploma.        
    Una norma transitoria del DM 509 (art. 13, c. 4) regola la trasformazione dei corsi di diploma e di laurea esistenti. La procedura è molto semplice nel caso in cui un nuovo corso di laurea o un nuovo corso di laurea specialistica abbia la stessa denominazione di un corso di studio già istituito (laurea o diploma) perché in questo caso è sufficiente la delibera degli organi accademici. E’ da notare che da un singolo vecchio corso di laurea (ma anche di diploma) è possibile istituire con procedura semplificata sia un nuovo corso di laurea che un nuovo corso di laurea specialistica con la medesima denominazione.          
    Invece, per i corsi di studio di nuova denominazione, la procedura è più complessa perché occorre adoperare quella del piano triennale di programmazione e sviluppo del sistema universitario fissata dal DPR 25/98. Devono quindi essere richiesti i pareri del nucleo di valutazione dell’ateneo e del comitato regionale di coordinamento, sia che l’istituzione del nuovo corso di studio sia trasmessa al Ministero per l’approvazione e il relativo finanziamento sui fondi del piano (art. 2, c. 2 e 3 del DPR 25/98), sia che invece l’istituzione sia fatta con risorse del bilancio dell’ateneo (art. 2, c. 4 del DPR 25/98) e preveda solo una semplice comunicazione al Ministero.      
    Sorge qui il problema se le università possono ricevere finanziamenti sui fondi del piano 2001-2003 di prossima emanazione anche per corsi di laurea e di laurea specialistica aventi la stessa denominazione di precedenti corsi di diploma o di laurea. Sarebbe opportuno un chiarimento del Ministero.      
    Sarebbe anche necessario chiarire se l’attivazione di corsi di studio fuori del territorio sede dell’ateneo richieda in ogni caso l’approvazione del Ministero (almeno così sembrerebbe da una lettura formale dell’art. 2, c. 4 del DPR 25/98) e che è comunque obbligatorio, in questi casi, il parere favorevole del comitato regionale di coordinamento interessato, cioè quello della regione dove avrà sede il nuovo corso di studio. 
    Sorge anche il problema delle piccole modifiche di denominazione. A stretto rigor di termini, anche una piccola modifica di denominazione richiederebbe il passaggio alla procedura lunga, ma sembrerebbe opportuno suggerire un approccio meno formalistico per favorire il riassetto delle denominazioni, almeno nel caso di una trasformazione di un vecchio corso di studio in uno nuovo, senza incremento di offerta didattica.