Signor Ministro, è per noi un piacere ed un onore accoglierla
per la prima volta all'Assemblea della Conferenza dei Rettori nella sua
nuova sede di Palazzo Rondanini, che ci ospita da pochi mesi. Lei è il
primo Ministro in carica a visitare questa sede e per questo motivo siamo
ancora più onorati di averla qui.
Sappiamo che, per vari impegni, lei ha relativamente poco tempo da dedicarci
e quindi abbiamo organizzato questo primo incontro con la seguente scaletta:
una mia introduzione dei principali problemi che farò a nome della Conferenza;
subito dopo, un piccolo numero di interventi già programmati per dare
voce ai rettori che lei non ha ascoltato nell'incontro di mercoledì scorso
con il Comitato di Presidenza; infine, naturalmente se lei lo riterrà,
il suo intervento conclusivo e di prospettiva a cui teniamo molto.
I problemi delle università sono molteplici, complessi e difficili: però
su alcuni grandi temi vorremmo attirare la sua attenzione.
Inizio subito con un tema che ieri ha impegnato la sua giornata ogni oltre
ragionevolezza ma che ha anche creato, tra noi rettori e nelle nostre
università, una serie di dubbi e perplessità: quello della riforma didattica
che stiamo applicando nei nostri atenei.
Sappiamo che questa riforma, nel lungo periodo di incubazione (sin dal
1° aprile del 1998 la Conferenza ne presentò in un convegno a Tor Vergata
le linee strategiche), ha visto un dibattito vivace e approfondito, con
voci favorevoli e non. Ora che la riforma è stata approvata e che la quasi
totalità delle università, almeno per quanto riguarda le lauree triennali,
ha modificato la vecchia architettura nella nuova e sta iscrivendo gli
studenti nei nuovi corsi di laurea (si ricordi che le matricole sono circa
300.000 ogni anno) occorre assolutamente dar tempo al tempo e non introdurre
elementi di dubbio in temi così delicati. La riforma avrà bisogno - come
tutte le riforme - di miglioramenti, di modifiche, di integrazioni. Il
difetto maggiore della precedente architettura è stata la sua inamovibilità
per 70 anni ed una riforma che rimane inamovibile per così tanto tempo
è destinata inevitabilmente - anche la migliore che si possa immaginare
- a mostrare limiti. Se poi si considerano le modifiche culturali, sociali
ed economiche che si sono verificate negli ultimi 70 anni del ventesimo
secolo, si capisce bene che la vecchia architettura - al di là del suo
valore intrinseco - non poteva e non può reggere.
E' importante che, sotto la sua guida, la nuova architettura degli studi
diventi uno strumento agile e flessibile, ma nel contempo dia la certezza
ai nostri giovani riguardo al cammino intrapreso dal sistema universitario,
un cammino nel quale la laurea è il primo titolo universitario - triennale
come nella grande maggioranza dei Paesi - a cui seguono altri titoli di
durata assolutamente variabile, con una flessibilità che non conoscevamo,
che abbiamo cercato per anni e che adesso abbiamo raggiunto.
Questo è il modello che offriamo ai nostri studenti: la laurea come primo
titolo, anch'essa differenziato per contenuti e obiettivi formativi a
seconda delle scelte autonome delle università, seguito da un'ampia varietà
di altre occasioni formative: generali, professionalizzanti, specifiche.
Si può veramente immaginare un sistema tanto articolato quanto la domanda
richiede e la domanda in questo momento è rivolta ad un sistema fortemente
articolato in tutte le discipline. Spesso leggiamo sui giornali una curiosa
distinzione tra discipline umanistiche e discipline scientifico-tecnologiche
in tema di architettura degli studi. Non perché non si possa fare questa
distinzione (anche noi ovviamente, usiamo questi termini), la distinzione
sembra mossa da paradigmi culturali non aggiornati e comunque poco attenta
alla domanda degli studenti, delle famiglie, delle imprese, della pubblica
amministrazione. Ma c'è un punto a cui noi teniamo in modo particolare,
signor Ministro: questa riforma non è una riforma tecnico-burocratica,
non è un'aritmetica un po' sciocca - 3+1, 3+2, 4+1 o quel che sia - ma
consiste e ha dietro una profonda innovazione culturale. È l'innovazione
che vede l'università, la singola università, come protagonista e responsabile
di scelte culturali e strategiche autonome. È il chiaro spostamento del
baricentro della nostra attenzione dall'offerta di formazione alla domanda
di formazione che viene direttamente dalla società e dalle sue reali esigenze.
Questa è la riforma che stiamo applicando e proponendo ai nostri studenti
in tutte le discipline.
Dicevo già che qualunque riforma ha delle parti da migliorare, ma il meccanismo
di autonomia cui si ispira, coniugato con la valutazione e con un senso
di responsabilità che è molto vivo nelle università, permetterà anche
una continua auto-correzione delle scelte, anche quelle meno felici che
possiamo aver fatto in questa prima applicazione.
La riforma - dicevo anche - vede le università,in quanto istituzioni,
come attori del sistema. Il sistema universitario ha scelto di organizzarsi
per atenei-istituzioni che rispondono come unità organizzative alle esigenze
del Paese. Noto tra l'altro che questo è l'unico modo per ancorare le
università al loro territorio. Attenzione, le università non fanno parte
del territorio, non sono strutture territoriali poiché appartengono ad
un sistema che va ben oltre i confini nazionali. Ma non possono non rendersi
conto che hanno un bacino territoriale di riferimento da cui proviene,
inevitabilmente, la maggior parte dei loro studenti. Questo collegamento
funziona se l'ateneo è reso protagonista e centro del sistema universitario.
E la Conferenza dei Rettori vuole essere il luogo in cui queste istituzioni,
tra loro in competizione, si confrontano e liberamente collaborano. Non
è vero che l'autonomia e la competizione degli atenei hanno rotto i legami
di collaborazione, è vero esattamente l'opposto. In un sistema in cui
istituzioni indipendenti competono fra loro, esse stesse si aprono reciprocamente
l'una all'altra per migliorare la propria efficienza ed efficacia.
Vorrei parlare, come secondo punto cruciale, della ricerca. Noi crediamo
a università che, secondo la linea tradizionale che riteniamo ancora vincente
anche nel mondo odierno, sono luoghi in cui insegnamento e ricerca sono
indissolubilmente collegati. Anche la ricerca vede, forse in modo ancor
maggior che nel passato e nella didattica, una fortissima competizione.
Siamo stati noi i primi a chiedere con forza che su ogni finanziamento
si aprano procedure di valutazione competitiva. È un modo forse doloroso
di affrontare il problema, soprattutto quando si viene da tradizioni di
finanziamenti a pioggia, ma è l'unico modo per far crescere la qualità
della ricerca e anche l'impegno degli stessi atenei nella ricerca. Questo
è un punto su cui si fonderà un documento strategico della CRUI sulla
ricerca, che stiamo preparando e che vuole essere l'aggiornamento di quello
del 1995, adeguandolo ai tempi e a quello che è stato già fatto in questi
anni: oltre la competizione, sarà centrale non solo la valutazione ex-ante
ma anche quella ex-post, che in Italia purtroppo conosciamo poco. Come
pure la necessità di una vera e funzionale anagrafe della ricerca, perché
non si può gestire un sistema competitivo e differenziato negli obiettivi
e nelle azioni se non conoscendo approfonditamente le linee di ricerca
che sono perseguite negli atenei.
Abbiamo delle preoccupazioni, signor Ministro, riguardo alla ricerca.
Alcune sono di carattere più tecnico: vediamo l'ottima iniziativa del
FIRB andare avanti senza molta chiarezza, con lentezza e con un carico
burocratico veramente elevato. Nella piena coscienza che la ricerca europea
ha scelto la strada di poche tematiche su cui investire impostando centri
di eccellenza, vorremmo però che non si dimenticasse che le università
hanno necessità di sviluppare la ricerca in tutti i campi in cui svolgono
l'insegnamento perché questa è l'università. Le due cose non sono in contrasto
tra loro, ma addirittura sono collegate. Non nasce eccellenza, in nessun
Paese e in nessun momento, se non crescendo su un substrato di cultura
e di saperi distribuiti che costituiscono l'ossatura scientifica e culturale
di una nazione. Ovviamente questo non vuol dire che per finanziare tutto
bisogna tagliare le punte di eccellenza, ma è necessario immaginare un
sistema in cui le due qualità si alimentino a vicenda. È giusto che gli
atenei siano stimolati a scegliere i loro campi di eccellenza ma anche
non dimenticare che gli atenei devono sostenere la ricerca in
tutti i campi, se non si vuole correre il rischio di declassare molte
università a "università di insegnamento", contro al nostro, e credo anche
al suo, punto di vista.
Vorrei spendere una parola sul dottorato di ricerca. Il dottorato di ricerca
è il punto di collegamento tra il sistema formativo, di cui è il livello
più alto, e il sistema della ricerca - non solo universitaria - di cui
è la fonte di alimentazione. Sul dottorato occorre investire in tutti
i sensi: investire in risorse, ma anche nella capacità di comunicazione
e di consolidamento del ruolo di coloro che raggiungono il più altro livello
degli studi che, come negli altri Paesi, devono trovare il loro spazio,
un loro alto status sociale nelle imprese, nelle pubbliche amministrazioni
e nelle università. Perché costituiscono - va detto con chiarezza - l'élite
del Paese, i giovani migliori che, in tutti i campi, si sono dedicati
agli studi più approfonditi.
Il tema si collega con quello che abbiamo chiamato il "Programma Giovani".
Lei sa certamente che l'attuale curva d'età dei docenti universitari ci
garantisce inesorabilmente che entro dieci anni quasi la metà dei nostri
professori e ricercatori universitari lascerà il servizio per limiti di
età. È una scadenza che forse appare lontana, ma è una scadenza che può
risultare disastrosa per l'intero Sistema Italia: occorre affrontarlo
per tempo. È vero che è difficile affrontarlo in un momento in cui il
nostro Paese ha difficoltà finanziarie, ma i governi di oggi saranno giudicati
tra dieci anni anche sulla capacità di non porci nella situazione di carenza
totale di ricercatori che inevitabilmente capiterà. In una situazione
in cui già, lei lo sa bene, abbiamo meno della metà dei ricercatori di
altri Paesi in Europa (e non parliamo degli USA o del Giappone).
Questo "Programma Giovani" nemmeno noi sappiamo bene come si possa concretamente
impostare, ma siamo disponibili a studiare e inventare col Ministero le
possibili soluzioni.
Abbiamo poi il problema di difendere i nostri statuti di autonomia. Nel
1989 le università hanno finalmente ottenuto quell'autonomia statutaria
e regolamentare che la Costituzione loro assegnava. Nei primi anni '90
molte università, col parere favorevole del Ministero, hanno creato strutture
organizzative innovative, di cui - mi permetta di dirle - l'esperienza
di dieci anni dimostra il grande successo. Non c'è nessun dubbio che gli
atenei attualmente hanno per statuto un'organizzazione interna più efficace,
più efficiente, più democratica che nel passato. Un'organizzazione nella
quale tutte le componenti universitarie - ovviamente ognuna con il suo
peso - contribuiscono al governo dell'ateneo, il che facilita corretti
rapporti interni e senso di partecipazione. La difesa di tutto ciò la
sentiamo molto fortemente. È un problema che riguarda una enorme maggioranza
degli atenei: la necessità di chiarire lo "stato giuridico" dei nostri
statuti. Sappiamo che pronunce giurisdizionali importanti ritengono che
alcune norme non siano compatibili con l'attuale legislazione ma credo
che non sia né utile né possibile chiedere ai rettori di governare gli
atenei in questa perenne incertezza sulla legittimità, non certo politica,
ma giuridica della propria posizione istituzionale.
Adesso un tema che in genere appassiona moltissimo i docenti universitari:
il loro stato giuridico e i concorsi. Non voglio spendere molte parole,
signor Ministro: siamo convinti - e l'abbiamo detto molte volte - che
lo stato giuridico dei docenti è anch'esso invecchiato: 20 anni dal DPR
382 sono tanti ed è necessario ripensarlo anche in connessione con la
riforma dell'autonomia didattica.
Per quanto riguarda i concorsi non siamo soddisfatti dell'attuale legge,
anche se va detto che ci ha restituito la possibilità di un reclutamento
in tempi normali di mesi e non più di anni. È chiaro che come docenti
universitari non abbiamo dato buona prova di noi, da commissari, ma la
legge merita di essere modificata (qualche modifica l'abbiamo suggerita
in gennaio scorso), non stravolta.
Problemi finanziari. Questo è un tema che ricorre spessissimo nelle nostre
assemblee. Non vogliamo apparire come coloro che continuamente chiedono
risorse; vogliamo solo che lo Stato consideri gli atenei una risorsa strategica
della Nazione su cui fare gli investimenti che sono possibili. E' importante
però investire nell'università, importante per il futuro.
Ci sono anche problemi tecnici cui abbiamo dedicato lunghe riflessioni.
Un problema è, o meglio è stata, l'applicazione della legge 537/93 per
quanto riguarda gli stipendi dei docenti. È un tema complesso e delicato,
ma non va dimenticato né sottovalutato. Le leggi attuali prevedono aumenti
annuali e biennali degli stipendi dei docenti che noi ovviamente non possiamo
non applicare, ma questi aumenti non sono stati coperti quasi mai da incrementi
di finanziamento da parte dello Stato. Sono stati quindi a carico dei
bilanci degli atenei. Gli aumenti automatici dei costi non coperti da
incrementi del FFO hanno provocato un debito di competenza dello Stato
che sarebbe necessario saldare, sia pure dilazionandolo in un congruo
periodo di tempo. Analogo debito - non più a livello di competenze ma
di cassa - si è creato con le limitazioni sul fabbisogno. Pur accettate
dagli atenei nel '98 perché erano necessarie per una scommessa europea
che tutti abbiamo giocato e tutti abbiamo vinto ma che, col passare degli
anni e con l'accumulo annuo dopo anno per la differenza continuamente
esistente tra competenze e cassa, hanno finito con il far lievitare enormemente
il debito di cassa sottraendo risorse agli atenei. Programmi già finanziati
non è stato possibile effettuarli per carenza di liquidità, o meglio,
si può effettuarli ma chiedendo in prestito soldi al sistema bancario
con un costo che francamente speravamo e speriamo di non dover sopportare.
Tra l'altro in un momento in cui la liquidità diventa carente, quelli
che ne soffrono di più sono gli investimenti ed in particolare quelli
infra-strutturali, l'edilizia, le grandi attrezzature, la ricerca. Sono
i primi a cadere, perché gli stipendi e le altre spese forse non possono
essere compressi.
Un altro tema che ha suscitato tra noi un senso di stanchezza e di ripulsa
è il meccanismo di "riequilibrio per sottrazione". Abbiamo in questa Conferenza,
per cinque anni, approvato all'unanimità il parere di legge sul riequilibrio.
Ma, mi creda, non è facile approvare un riequilibrio per sottrazione in
un'assemblea formata dai rappresentanti legali delle istituzioni che partecipano
al riequilibrio stesso. Se può essere utile in un momento di gravi disparità
(e lo è stato, perché molti atenei hanno giustamente avuto riconosciuto
forti aumenti di finanziamento), un meccanismo di riequilibrio per sottrazione
alla lunga può deprimere la qualità media e massima dell'intero sistema:
non credo che questo sia l'obiettivo di nessuno.
Parlando di investimenti le vogliamo sollevare quello che forse è il problema
più importante. La nostra università soffre di gravissime carenze infrastrutturali.
Lei ha visto la banca-dati che il Ministero ha molto opportunamente pubblicato
e subito ripresa dai giornali. Ci sono molte differenze fra università
ma io posso dire che tutte mostrano una carenza di risorse infrastrutturali
che fa paura. Intendo posti aula, posti in biblioteca, non solo le grandi
attrezzature scientifiche che pure soffrono di gravi carenze. L'opinione
più diffusa tra gli studenti che tornano da un'esperienza all'estero con
il programma Socrates è questa: "Quanto spazio per gli studenti, quanto
spazio per le aule, biblioteche, laboratori didattici !".
Del resto, nel corso degli anni '90 i governi di molti Paesi hanno varato
sostegni infrastrutturali alle università per rispondere all'incremento
degli studenti. Non voglio citare le cifre della Francia, voglio solo
ricordare che in Italia siamo a 300.000 lire l'anno per studente, l'anno
prossimo a sole 150.000 lire: praticamente si dimezzerà l'impegno in un'edilizia
già disastrata. Lo ripeto: 300 miliardi per l'edilizia dell'intero sistema
universitario. Non è che non ci rendiamo conto delle priorità e delle
altre esigenze dello Stato, però non possiamo non segnalarle questo gravissimo
problema.
Solo un accenno a due questioni di "carattere breve": occorre completare
gli atti per le scuole di specializzazione per le professioni forensi
e insegnanti, occorre recuperare il ritardo cronico, ormai di un anno,
per le specializzazioni sanitarie.
C'è un problema di contratto con il personale tecnico-amministrativo.
Il quadriennio di contratto sta per concludersi tra tre mesi ed ancora
il contratto non è stato approvato; dobbiamo partire con la nuova contrattazione
e non abbiamo ancora concluso quella del biennio 2000-2001. E' un tema
complesso ma chiediamo che il Ministero faccia quanto gli è possibile
perché al nostro personale tecnico-amministrativo venga garantito lo stesso
trattamento garantito al personale degli altri comparti.
L'autonomia che abbiamo fortemente voluto, messo in atto e di cui adesso
godiamo i frutti positivi ma anche le problematiche, è un'autonomia che
richiede un governo del sistema. È un'autonomia che deve dare il massimo
spazio possibile. A tale riguardo sarebbe opportuno richiedere un attento
riesame della legislazione per eliminare quelle parti che contrastano
a tutt'oggi con l'autonomia, ma d'altra parte l'autonomia non può rinunciare
al governo di un sistema di istituzioni quali sono le università. La CRUI
è stata in questi anni, e continua ad essere, uno degli elementi di questo
sistema, che interagisce con il Governo pur nelle rispettive prerogative
e autonomie. Le manifestiamo apertamente il desiderio di collaborare con
lei, con il suo staff e con l'intero Ministero nell'elaborazione di progetti
innovativi e nel loro monitoraggio, in scelte che facciano crescere l'intera
Università italiana.
Concludo - signor Ministro - donandole a nome di tutti la medaglia della
Conferenza dei Rettori ed un omaggio floreale perché lei ricordi questo
primo momento di incontro e di scambio di opinioni.
|