Onorevole Ministro,

desidero innanzitutto ringraziarla a nome di tutti i rettori per essere oggi intervenuto alla nostra assemblea mensile. La prontezza e la gentilezza con cui mi ha ricevuto come presidente della CRUI, subito dopo la sua nomina, accettando subito il mio invito ad intervenire alla prima assemblea possibile, rappresentano un segno tangibile del suo interesse alla Conferenza dei Rettori e alla nostra attività.

Gliene do atto volentieri, sperando che voglia oggi confermarci quanto mi ha testimoniato nel nostro primo colloquio, e cioè l'attenzione personale e istituzionale che lei riserva alla CRUI e al ruolo che essa gioca, e vuole continuare a giocare, nella rappresentanza, nel governo, nel coordinamento e nella valutazione del sistema universitario italiano, naturalmente in fruttuosa collaborazione con gli altri organi collegiali nazionali, primo fra tutti il CUN, e nel pieno rispetto reciproco delle competenze di ognuno.

Se mi permette, vorrei anche dare il nostro benvenuto più cordiale al suo Capo di Gabinetto, prof.ssa Francesca Zannotti, e ringraziarla di essere intervenuta e di aver intessuto con noi, e con me personalmente, già in queste prime settimane di impegno, un solido, stretto, amichevole rapporto di collaborazione fattiva ed efficace.

Al Sottosegretario Guerzoni e al Direttore D'Addona, anche se ospiti ormai usuali e sempre graditissimi delle nostre assemblee, non solo un nuovo benvenuto ma soprattutto un vivo ringraziamento per l'intelligenza ed esperienza politica e le capacità operative che hanno dedicato all'università italiana.

Signor Ministro, noi speriamo che oggi lei abbia previsto di illustrarci le principali linee politiche strategiche e operative che il suo ministero intende adottare e seguire. Nel ringraziarla vivamente in anticipo, mi permetterò comunque - secondo lo stile CRUI di una concretezza operativa che fa fermo riferimento alle grandi opzioni ideali e non rinuncia alle ampie prospettive, non riducendosi quindi mai a mero pragmaticismo - di dedicare questo mio indirizzo di saluto all'individuazione di alcune delle problematiche universitarie che la CRUI ritiene particolarmente importanti o urgenti.

Senza alcuna pretesa di esaustività, nella speranza del resto che questa sia solo la prima di una serie di occasioni periodiche di incontro che le chiediamo di offrirci, a livello di comitato di presidenza o di assemblea, e senza alcun senso di priorità nell'ordine con cui le esporrò.

Inizierò dal problema dell'autonomia didattica. La CRUI ha sempre espresso totale appoggio e incoraggiamento alla linea dell'autonomia delle università. La transizione da un sistema centralistico ad uno basato sull'autonomia è ormai avviata irreversibilmente e i risultati appaiono molto incoraggianti e in sintonia con l'evoluzione dei sistemi universitari in corso in tutt'Europa. Serve quindi completare questo processo e un tassello fondamentale è appunto l'autonomia didattica.

La CRUI ha partecipato tramite suoi rappresentanti all'elaborazione di alcune linee di indirizzo, poi divenute note ministeriali di indirizzo, ed ha organizzato un importante convegno nazionale nell'aprile scorso - i cui atti ho il piacere di donarle - che ha dato conto di un largo dibattito già presente negli atenei e ne ha stimolato uno ulteriore, anche su temi specifici e tecnici.

Riteniamo quindi che sia maturo il tempo per pervenire, nel più breve tempo possibile, alla stesura e all'emanazione di quei decreti di area che sono la chiave normativa che realizza l'autonomia didattica. Manifestiamo a questo proposito la nostra piena disponibilità a contribuire all'elaborazione di questi decreti, per inquadrarli nell'ottica del governo delle università e senza naturalmente escludere ogni più vasta e necessaria consultazione accademica su temi così delicati.

In tutta sincerità, occorre peraltro segnalare il pericolo che uno spazio troppo ampio lasciato ai vari settori disciplinari in fase di stesura possa appesantire i decreti di area di condizioni normative con cui ogni settore difende, legittimamente per altro, la sua posizione accademica. Ma il senso stesso dell'autonomia è che un unico equilibrio disciplinare nazionale sia sostituito da una serie di equilibri disciplinari di ateneo, anche diversi fra loro, in consonanza con le scelte e le attitudini proprie di ognuno, dando piena fiducia alle università.

Auspichiamo quindi poche, sagge e tecnicamente ben costruite regole nazionali nel decreto che regolerà tutti i corsi di studio di ogni macro-area culturale. Dopo un primo periodo di sperimentazione, si potrà tranquillamente ritornarci sopra. Dobbiamo proprio abituarci a pensare l'attività universitaria come un equilibrio dinamico attivo, continuamente in discussione e pronto ad adeguarsi ad un mondo in perenne cambiamento, e non come il tranquillizzante ma passivo e sclerotizzato equilibrio statico di un tempo.

L'urgenza dell'emanazione dei decreti di area non dipende solo dal fatto che essa rappresenta un obiettivo politico fondamentale sulla linea dell'autonomia, ma anche dalla necessità di non disperdere l'impegno e la passione di tanti docenti che hanno contribuito al dibattito e, non mi dilungherò su un tema tecnico certamente ben noto al Ministro, dalla vacatio legis in cui ci troviamo in questo momento, per cui, paradossalmente, tutte le vecchie tabelle sono congelate mentre i nuovi corsi di laurea e di diploma possono avere ordinamenti stabiliti in modo totalmente autonomo dalle sedi interessate, con gravi difficoltà prevedibili a breve termine per il loro necessario inserimento nei decreti di area.

A proposito di autonomia, mi sembra giusto segnalarle en passant, nonostante che sia un problema politico di grande rilevanza e difficoltà, il caso degli statuti autonomi delle università impugnati davanti alla giustizia amministrativa. Scelte statutarie fatte proprie dalla grande maggioranza degli atenei (prime fra tutte le norme che prevedono una più larga partecipazione dei ricercatori agli organi collegiali e l'ampliamento della sfera dell'elettorato passivo dei professori associati) sono ora sottoposte a giudizi di legittimità che talora si risolvono in senso negativo. Non contestando qui gli aspetti giuridici, ci attendiamo un'iniziativa chiarificatrice del Ministero che eviti il possibile blocco delle attività in molti atenei qualora queste impugnazioni e relativi sfavorevoli giudizi si estendessero a macchia d'olio.

Ancora strettamente collegato ai decreti di area è il tema dell'architettura generale del sistema dei titoli universitari. Se si vuole mantenere l'impegno preso con la Dichiarazione della Sorbona del maggio scorso, occorre che i decreti di area lo recepiscano chiaramente. Dopo un lungo e acceso dibattito, avvenuto anche in questa sede, mi sembra di poter dire che si registri un certo favore verso una graduale riforma del sistema dei titoli che, mantenendo lo schema dei tre cicli (diploma-laurea-dottorato/specializzazione) della legge 341/90, introduca la sequenzialità tra di essi, nel senso che per accedere ad un corso di laurea occorre possedere un diploma e per accedere ad un corso di dottorato o specializzazione la laurea, salvo eventuali specifiche deroghe per corsi particolari.

Per far sì che un'innovazione certamente necessaria e da rendere armonica con il sistema universitario europeo non disperda il patrimonio del nostro modello formativo - diciamo della laurea italiana -, occorre costruire un sistema di titoli che preveda per i diplomi uno spettro completo, da quelli fortemente e totalmente professionalizzanti con inserimento diretto nel mercato del lavoro a quelli di carattere e professionalità più culturale e generalista, sì adatti ad un inserimento in nicchie lavorative in cui questa preparazione è interessante e produttiva ma anche ad un proseguimento degli studi universitari.

Il panorama successivo delle lauree sarà poi ancora più ampio, permettendo diverse opportunità di continuazione ai diplomati universitari, per formazioni specialistiche monodisciplinari approfondite oppure pluridisciplinari, particolarmente adatte al mondo odierno. Il tasso di riconoscimento degli studi del diploma posseduto per la continuazione per una laurea dipenderà ovviamente dai diversi casi: dal riconoscimento completo del percorso di un diploma in totale serialità con una laurea, al riconoscimento solo parziale del percorso di diplomi a forte e specifico contenuto professionale o non in accordo disciplinare con la laurea prescelta.

Passo ora allo scottante problema del finanziamento statale delle università. Il grido di dolore che si leva dagli atenei è sempre più acuto e siamo certi che non incontrerà l'insensibilità del Ministro. Il fondo di finanziamento ordinario delle università in Italia è, sia in quota per studente, sia in quota per laureato, sia in quota per docente, decisamente inferiore (da metà ad un terzo) a quello degli altri Paesi europei a noi più vicini.

Ripetendo a lei quello che dicemmo al Presidente Prodi e che abbiamo ripetuto pochi giorni fa al Presidente della Repubblica, gli studenti per docenti sono passati dai 15 del 1970 ai 34 del 1997, a fronte degli attuali 13 in Inghilterra, 15 in Germania e 20 in Francia. Nonostante la difficoltà di far buona didattica in queste condizioni, produciamo, a parità di costo, più laureati che in questi Paesi: infatti, rispetto ad un laureato italiano, un laureato inglese costa il 20% in più, uno francese il 35% in più, uno tedesco addirittura il 110% in più. Tralascio, per brevità, i dati per la ricerca, che mostrano divari anche maggiori.

Non copre inoltre nel tempo - è bene che lo si sappia e lo si dica chiaramente - gli aumenti di stipendio dei docenti derivanti da legge (scatti biennali, ricostruzioni di carriera) e il loro accumulo anno dopo anno, non compensato da forti esodi per pensionamenti attesi solo tra una decina d'anni, sta portando a gravi difficoltà dei bilanci degli atenei.

In queste condizioni è assai difficile competere, se non addirittura sopravvivere al livello qualitativo che abbiamo raggiunto. Le università italiane hanno partecipato, come tutta l'Italia, ai sacrifici per vincere la scommessa della moneta unica; siamo stati i primi a gioire del successo raggiunto che si appresta a divenire realtà tra poco più di un mese. Ma adesso si impone come necessario e urgente un nuovo impegno finanziario dello Stato per le sue università, per investimenti funzionali e infrastrutturali non più differibili.

Lo dicemmo già nel 1996, prima delle elezioni politiche nazionali, quantificando anche l'entità dell'impegno quinquennale per lo Stato. Un incremento annuo del 10% del fondo di finanziamento ordinario protratto per cinque anni e uno stanziamento di 5000 miliardi nello stesso quinquennio per le infrastrutture non sarebbero un traguardo irraggiungibile per le finanze italiane (lo dimostrano altri interventi finanziari in formazione superiore) e muterebbero sostanzialmente il panorama del sistema universitario.

In questa ipotesi siamo assolutamente favorevoli ad un riequilibrio del finanziamento tra gli atenei e ad un serio sistema di valutazione della qualità delle nostre attività. In realtà, con grande senso di responsabilità, abbiamo già in questi ultimi difficili anni appoggiato e contribuito a definire l'attuale meccanismo di riequilibrio, che però ora trova seri ostacoli ad essere proseguito in carenza di fondi aggiuntivi e in presenza di spese incomprimibili come quelle di carattere obbligatorio per gli stipendi.

Analogamente la CRUI ha già sperimentato sistemi di valutazione della qualità, sia dell'attività didattica che della ricerca, e li mette a disposizione del Ministero. Anzi, nella scorsa primavera, la CRUI si è candidata a mettere in piedi e sperimentare un sistema nazionale di valutazione della qualità, seguendo l'esempio di molti altri Paesi europei che da una sperimentazione di questo tipo hanno iniziato circa quindici anni fa l'esperienza ora consolidata. Così ad esempio in Olanda (dove è ancora l'associazione delle università a gestire il sistema) o nel Regno Unito (dove, dopo la fase sperimentale gestita dalla Conferenza dei Rettori, si è passati ad un'agenzia nazionale indipendente).

Da un punto di vista tecnico, non posso non citare anche le varie leggi che hanno introdotto limitazioni ai prelievi in tesoreria, creando serie limitazioni alla spesa di somme già assegnate agli atenei. Va accelerato l'abbandono di questi provvedimenti di emergenza a favore di un serio e attento controllo della produttività della spesa e della capacità di gestione delle amministrazioni universitarie.

Auspichiamo che il Ministro, su questi temi di carattere finanziario, trovi incisività di azione e consenso parlamentare tali da garantire il successo di una nuova politica di sostegno della formazione e della ricerca universitarie.

L'accenno più spiccato ai temi della formazione non deve essere scambiato per una centralità della formazione che esclude la ricerca, perché anzi la CRUI ha dedicato ampi spazi di discussione e di proposta ai temi generali del sistema ricerca italiano e in particolare del sistema ricerca universitario. La ricerca è e deve rimanere un compito centrale delle università al pari della didattica, anzi della ricerca le università devono rimanere luogo primario, come afferma la legge.

La CRUI ha espresso pieno favore alla riforma del sistema complessivo della ricerca italiana e si augura che il provvedimento governativo dello scorso agosto trovi rapida applicazione lungo le linee strategiche tracciate, lasciando gli emendamenti solo a quanto tecnicamente necessario e comunque secondo lo schema ormai varato. Nello stesso ambito rientra la riforma del CNR, anche questa vista con favore dalla CRUI e per la quale alcuni emendamenti sono forse necessari ma di nuovo nel pieno rispetto di una linea di riforma pienamente condivisa e soprattutto con l'urgenza di provvedere tirando fuori questo importantissimo ente di ricerca nazionale dallo stato di incertezza in cui si trova in questa fase di transizione. Siamo sicuri che la nuova strutturazione del CNR favorirà quello che è un obiettivo fondamentale, e cioè la piena collaborazione del CNR con il sistema universitario e la totale reciproca permeabilità e interagibilità dei due principali sistemi di ricerca del Paese.

Sul tema della ricerca universitaria siamo lieti e soddisfatti di riconoscere che un passo in avanti molto significativo è stato compiuto e ci permettiamo immodestamente di rivendicarne una parte del merito anche se il merito maggiore va al coraggio del Ministro e alla bravura dei garanti. Il nuovo sistema di finanziamento della ricerca di interesse nazionale è stata una straordinaria occasione di rinnovamento, una straordinaria spinta alla competitività e alla maggiore qualità, tout court uno straordinario successo che ci è riconosciuto anche dall'estero. Ogni sistema di referees anonimi ha ovviamente delle controindicazioni e tutti gli sforzi vanno adottati perché i difetti inevitabili delle prime due sperimentazioni condotte siano al più presto resi minimi (un sistema esente da difetti ovviamente non esiste in questo campo), ma si è rivelato l'unico in grado di modificare abitudini negative che sembravano immodificabili.

Il sistema di finanziamento deve essere completato con un sostegno nazionale alle ricerche dei giovani, già messo in opera meritoriamente e strategicamente importantissimo per aiutare lo sviluppo delle forze ricerca più capaci del futuro, e con investimenti competitivi nelle infrastrutture di ricerca, in cui siamo davvero carenti. Va individuato come obiettivo strategico - con modalità da stabilire che garantiscano una crescita equilibrata del sistema nel territorio e negli ambiti disciplinari - la creazione di un certo numero di "laboratori" o "centri di ricerca" di alto livello (includendo in questa parola anche le infrastrutture necessarie alla ricerca nel campo delle scienze umane) presso le università, in modo che esse possano competere, nei campi di loro eccellenza, ai grandi finanziamenti comunitari e nazionali con adeguate dotazioni infrastrutturali.

In questo quadro di sviluppo, non può mancare un accenno ai problemi dello sviluppo del sistema universitario italiano. L'offerta di atenei, sia statali che non, sul territorio è enormemente aumentata negli ultimi anni ma, incrementandola ancora, si rischia seriamente che essi non abbiano la dotazione di risorse logistiche e umane necessarie per fornire un servizio didattico di qualità agli studenti e un'attività di ricerca competitiva, condizioni assolutamente irrinunciabili per ogni università che sia definita tale dal riconoscimento legale del Ministero.

La CRUI si appresta ad aprire un serio e approfondito dibattito al suo interno sul tema dei nuovi atenei, che è collegato anche al tema del decongestionamento dei mega-atenei ma non solo a questo. Sarebbe assai opportuno che il Ministero valuti con assoluta cautela l'istituzione di nuove università e, anzi, sarebbe assai opportuno che il Ministero si dia preventivamente dei criteri da seguire sulle condizioni minime che devono essere rispettate per l'istituzione di un'università, statale o libera che sia. Le consegnerò a parte la copia di una lettera su questo tema, che è peraltro collegato alle regole di ammissione alla CRUI come pure alla Conferenza Europea dei Rettori, inviata nei mesi scorsi al Ministro Berlinguer.

Un altro punto molto scottante è quello dei rapporti tra università e servizio sanitario nazionale. Il Parlamento, affidando la delega a legiferare sul tema al Ministro della Sanità, ha fissato alcune condizioni di massima che devono essere rispettate. Nel passato, mi perdoni, si è assistito ad una certa confusione nella gestione dei rapporti tra i due ministeri sui temi dell'assistenza e della formazione sanitaria, quindi su temi cruciali per il funzionamento di tutte le nostre facoltà di medicina e chirurgia. Siamo sicuri che il passaggio delicatissimo del testo del decreto legislativo sarà seguito con particolare attenzione dal nostro Ministero e ci dichiariamo sin d'ora disponibili a collaborare fattivamente per un risultato soddisfacente sia per le nostre università che per il bene civile primario della salute dei cittadini e della loro assistenza sanitaria negli ospedali.

Non vorrei nemmeno dimenticare il tema del riequilibrio tra regioni italiane a differente tasso di benessere economico e di sviluppo. In questo tema ci attendiamo un nuovo impegno del Ministero per quanto riguarda i programmi di finanziamento comunitari, in particolare il Fondo Sociale Europeo del sessennio 2000-2005 le cui forme di utilizzazione sono previste nell'importante documento comunitario intitolato Agenda 2000 e che non può vedere assente, accanto al Ministero del Lavoro, il Ministero dell'Università e della Ricerca, qualora si creda, come penso creda anche lei, che ogni reale sviluppo è collegato alla formazione superiore e all'innovazione tecnologica, soprattutto in una società della conoscenza quale quella che si profila per il prossimo futuro. Le scadenze sono, mi permetto di ricordarle, ravvicinatissime, massima l'urgenza di individuare linee politiche e operative.

In questo ambito non va neppure dimenticato l'impegno formale davanti all'Unione Europea a consolidare con opportuni finanziamenti nazionali le attività cofinanziate dal Fondo Sociale Europeo per il sessennio 1994-1999, quindi, nel caso delle università delle regioni meridionali, i dottorati di ricerca e le altre attività di formazione superiore e di ricerca previste nel Piano Operativo, nel caso delle università del Centro-Nord, i segmenti professionalizzanti dei diplomi universitari (Progetto CAMPUS). Non mi dilungo, per brevità ma anche per il grande tecnicismo di questi argomenti, su cui comunque, di nuovo, assicuro la piena disponibilità della CRUI a collaborare e anche a fornire supporto operativo al Ministero come agli atenei interessati.

Molti altri temi sarebbe necessario trattare (dai compiti dei docenti in relazione all'autonomia didattica, alle limitazioni degli accessi, ai dottorati di ricerca, ai concorsi, agli accordi di programma, alla rete telematica GARR, etc.), ma non voglio annoiare e rinviare ancora il suo intervento così atteso da tutti i rettori. Ringraziandola ancora per la sua presenza e confermandole la nostra totale disponibilità a collaborare fattivamente e il gradimento ad ospitarla qui frequentemente e ogniqualvolta lo riterrà opportuno, le lascio dunque la parola.