Relazione generale sul sistema universitario
ai fini dell'elaborazione del piano di sviluppo
dell'Università
per il triennio 1997-1999 (ex. art.1 L. 245/90)
(Approvata dall'Assemblea della Conferenza dei
Rettori il 24 ottobre 1996)


Premessa

La Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) è tenuta a formulare una relazione generale sul sistema universitario italiano nell'ambito della procedura di formazione del piano triennale di sviluppo 1997-1999 prevista dall'art. 1 della Legge 245/90. Adempiendo a questo compito, desidera anticipare subito che la stessa normativa di formazione e di gestione dei piani di sviluppo non appare più adeguata alla situazione attuale, mutata profondamente negli ultimi anni a seguito del rapido dispiegarsi dell'autonomia statutaria e regolamentare degli atenei (Legge 168/89) e soprattutto del l'autonomia finanziaria fondata sulla gestione budgetaria del finanziamento statale (Legge 537/93).
Nonostante il titolo impegnativo, in questa relazione si è preferito non ritornare sui principali temi generali della politica universitaria italiana. Ad essi la CRUI ha dedicato un'attenta analisi pochi mesi fa approvando all'unanimità il documento "Per un programma di governo sull'università italiana" che è allegato e al quale si farà riferimento con la sigla [PG]. Inoltre la CRUI intende segnalare la continuità di impostazione generale di questa relazione rispetto alle tre precedenti approvate per i corrispondenti piani triennali.
Il lavoro di preparazione di questa relazione ha messo anche in evidenza la difficoltà di disporre di una documentazione ufficiale e ampia sul sistema universitario italiano che vada oltre le rilevazioni annuali dell'ISTAT. Di recente la CRUI ha svolto un primo lavoro di analisi quantitativa e qualitativa del sistema universitario e il Ministero ha mostrato un nuovo fattivo interesse ad una conoscenza globale e analitica del sistema e delle sue performances. Ma ancora mancano i rapporti sullo stato dell'istruzione universitaria (previsti dall'art. 2 della Legge 168/89) e i documenti di verifica dell'attuazione dei piani di sviluppo 1986-1990 e 1991-1993 (in corso di preparazione al Ministero da parte dell'Osservatorio Permanente sulla Valutazione).

Considerazioni Generali

E' opinione largamente condivisa che l'Italia, come del resto molti altri paesi europei, deve fondare il suo sviluppo economico, sociale e culturale sul miglioramento della sua competitività nella ricerca, nell'innovazione tecnologica, nella qualificazione della forza lavoro. Poiché in Italia l'università produce ricerca, forma i ricercatori e gestisce quasi per intero l'educazione superiore, è fortemente auspicabile che il piano triennale di sviluppo dell'università 1997-1999 costituisca l'occasione per un vasto dibattito nel Parlamento e nell'opinione pubblica - e per un conseguente impegno governativo - sul tema della definizione del livello di investimento in ricerca ed educazione superiore che si ritiene coerente con le scelte strategiche e con le disponibilità finanziarie nazionali.
Negli ultimi anni

il sistema universitario si è profondamente trasformato
. Nonostante l'acuta carenza di risorse le università italiane riescono a soddisfare una maggiore domanda di ricerca e formazione rispetto al passato. Inoltre in molti casi sono riuscite, spinte dalle regole di gestione conseguenti all'autonomia finanziaria, a mettere in moto processi di consistente aumento dell'efficienza e dell'efficacia della loro azione. Certo rimane il problema di allineare la loro attività di ricerca, di formazione e di servizio agli standard internazionali, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
Un altro importante segno di trasformazione è dato dalla maggiore attenzione dedicata ai problemi studenteschi. Qualche buon risultato parziale è stato già conseguito, altri sono conseguibili nel prossimo futuro. Una diversa e autonoma politica in tema di contribuzione studentesca ha reso ad esempio possibile in molti atenei una maggiore equità contributiva e una certa disponibilità di maggiori risorse per il sostegno economico degli studenti meno abbienti (si veda la ricerca svolta per la CRUI dall'IRES Toscana). Inoltre sono unanimemente riconosciuti come problemi cruciali del sistema i due aspetti critici principali delle carriere studentesche, cioè gli abbandoni e l'abnorme durata degli studi. Per conoscerne la natura e la dimensione e per ridurne la portata negativa, molti atenei hanno preparato accurate analisi statistiche e varato iniziative sperimentali (orientamento pre- ed infra-universitario, tutorato, incentivi economici per i laureati o diplomati in corso, etc.) di sicuro interesse.
Questa profonda trasformazione del sistema universitario
deve essere adesso
sostenuta e indirizzata da un forte impegno finanziario dello Stato.
Nel documento [PG] si valuta in 24.500 miliardi la necessità di impegno globale aggiuntivo sul bilancio statale del quinquennio 1997-2001 e in 6.150 miliardi l'impegno annuale aggiuntivo da consolidare in ognuno dei bilanci degli anni 2002 e successivi. Purtroppo le attuali disponibilità sono pari a 110 miliardi per ognuno degli anni del triennio 1997-1999, pari a meno del 2% del finanziamento annuale aggiuntivo che la CRUI ha valutato necessario a regime per un reale adeguamento ai livelli europei. A titolo di confronto si pensi che attualmente la spesa statale per studente è in Francia il doppio di quella italiana e in Germania il quadruplo. Tenuto conto che il finanziamento ordinario annuale al sistema universitario si aggira attorno ai 9.000 miliardi, le cifre previste per il piano di sviluppo ne costituiscono l'1,2% e quindi non coprono neppure l'incremento dei costi dovuto all'inflazione.
Non c'è dubbio che tali scelte del bilancio statale - certamente in gran parte riconducibili alle reali e pesanti difficoltà della finanza pubblica - contribuiranno ad aumentare il divario, già adesso molto preoccupante, tra l'Italia e i paesi europei più avanzati in tema di investimenti in ricerca e formazione universitarie, con il serio pericolo di non cogliere per tempo quelle opportunità strategiche di sviluppo economico e sociale citate all'inizio di questo paragrafo. La CRUI non intende nascondere quanto pesanti possono essere le responsabilità governative e parlamentari per l'inevitabile perdita di competitività del sistema Italia.
Purtroppo
non ha dunque senso parlare di sviluppo del sistema universitario italiano dal punto di vista delle risorse,
se non facendo appello ad una migliore gestione delle risorse già disponibili negli atenei e ad un maggiore impegno del personale docente e non docente, come del resto è già accaduto negli ultimi dieci anni, ad esempio con il varo delle iniziative a cosiddetto costo zero. Ma i margini sono ormai molto stretti e nella maggior parte dei casi è francamente impensabile che l'attuale budget permetta di attuare nuove iniziative significative.
Il quadro è sicuramente non confortante. Però, in linea con l'impegno concreto e con la volontà di crescita che si scorge emergere nel sistema universitario italiano e in accordo anche con l'obiettivo politico generale di rinnovare e di rendere più efficiente la pubblica amministrazione, la CRUI ritiene che una serie di interventi limitati ma significativi sia nondimeno realizzabile nell'ambito del piano di sviluppo 1997-1999.
Questo piano sarà dunque per lo più un
piano di sviluppo
a livello
normativo.
Se ben concepiti, interventi normativi di costo nullo o molto limitato possono raggiungere l'obiettivo importante di stimolare e di indirizzare le capacità interne del sistema, in attesa che finalmente si avviino il suo reale sviluppo e il suo adeguamento agli standard dell'Unione Europea.
Linee Guida

Le linee guida degli interventi dovrebbero, secondo la CRUI, essere le seguenti:

Obiettivi del piano di sviluppo 1997-1999
Autonomia didattica

I processi di trasformazione in senso autonomistico del sistema universitario italiano, inserendo importanti elementi di valutazione e responsabilità delle scelte accademiche nei singoli atenei e di competitività tra gli atenei, hanno reso evidente l'obsolescenza dell'impianto normativo centralistico che ancora regge l'università italiana. In particolare questo vale per la procedura vigente per i piani di sviluppo dell'università italiana (Legge 245/90).
Tale procedura nasceva dal presupposto che il Ministero, il Parlamento e il Governo, con periodicità triennale, fossero chiamati ad istituire o riconoscere nuove università e ad autorizzare i singoli atenei ad attivare nuove iniziative didattiche (nuove facoltà, nuovi corsi di laurea o di diploma, etc), provvedendo al loro contestuale finanziamento specifico. Questo presupposto è ancora valido nel caso dell'istituzione delle nuove università, atto che deve indubbiamente essere attentamente pianificato e finanziato da parte del governo centrale del sistema universitario.
Invece, per quanto riguarda le nuove iniziative didattiche, è già avvenuta nei fatti la rottura del legame tra l'autorizzazione centrale di una nuova iniziativa didattica e il suo finanziamento statale perpetuo, legame che reggeva l'impianto centralistico e che giustificava la procedura dei piani di sviluppo. Già nel piano 1991-1993 furono infatti introdotte le iniziative "a costo zero" e poi nel piano 1994-1996 questo approccio si è esteso (DM 30/12/95, art. 4) a tutte le nuove iniziative didattiche autorizzate dal piano. Inoltre è ormai percepito come contrastante con l'autonomia degli atenei ed è fonte di ritardi e squilibri il fatto che il varo di nuove iniziative didattiche non sia lasciato alle autonome e responsabili scelte degli atenei interessati.
La CRUI ritiene che sia ormai maturo il momento di sancire definitivamente e formalmente nel piano di sviluppo 1997-1999

la separazione del finanziamento dei piani di sviluppo dall'evoluzione dell'offerta formativa da parte delle università
. Propone, di conseguenza, che nessuna parte dei finanziamenti disponibili per il piano 1997-1999 sia destinata specificamente all'ampliamento dell'offerta didattica di ogni ateneo (cioè a nuove facoltà e a nuovi corsi di diploma, di laurea, di dottorato e di specializzazione), la quale offerta didattica rimane definitivamente ancorata alle scelte di governo dell'ateneo stesso e alla capacità di recuperare le risorse necessarie dal suo interno o dal contesto socio-economico esterno.
Questa scelta evita tra l'altro il problema del "trascinamento", cioè del consolidamento nel finanziamento ordinario delle risorse per le nuove iniziative didattiche attribuite nel primo triennio sui finanziamenti dei piani di sviluppo.
Inoltre la CRUI ritiene che un altro intervento normativo, anch'esso collegato all'autonomia didattica, sia ormai maturo:
la flessibilità dei curricula didattici offerti dagli atenei rispetto alle "tabelle" nazionali
. L'obiettivo finale è quello di passare da una struttura centralistica di definizione dei contenuti e dei percorsi ad una struttura altamente flessibile, in cui il controllo a priori sia sostituito dall'accreditamento nazionale delle proposte di curricula avanzate dai singoli atenei, come del resto è tecnicamente necessario e opportuno per l'inserimento coerente della formazione superiore italiana nel contesto europeo.
Questo obiettivo finale può anche essere conseguito gradualmente. Nella fase transitoria l'importante è modificare subito sia le tabelle nazionali rimaste ancorate a criteri rigidi sia la procedura di approvazione dei curricula didattici proposti dalle università. Non essendo più necessaria, come si è sopra proposto, la valutazione da parte del CUN delle risorse disponibili, occorre che le verifiche di coerenza dei regolamenti didattici di ateneo con le tabelle nazionali si limitino alle questioni di legittimità escludendo qualunque intervento centralistico sul merito, in modo anche da semplificarle e renderle rapide. Agli atenei potrebbe inoltre essere concessa subito la possibilità di proporre nuovi percorsi formativi innovativi, che potrebbero essere autorizzati dal Ministero senza la necessità di creare per ognuno un'apposita tabella nazionale, in vista appunto della realizzazione dell'autonomia didattica completa.
I due interventi proposti avranno nel tempo l'effetto di generare un'ampia diversificazione e flessibilità, in durata e in tipologia, dei titoli offerti dalle università, riequilibrando l'utenza sui tre diversi livelli della formazione universitaria e rispondendo nel contempo all'estrema flessibilità e dinamicità, anche organizzativa, del sistema sociale ed alla globalizzazione del mondo del lavoro. Inoltre sarebbero eliminate quelle situazioni di disparità tra gli studenti italiani e gli altri studenti europei che derivano dalla rigidità dei percorsi italiani rispetto a quelli stranieri, disparità che saranno sempre più evidenti con il diffondersi della mobilità studentesca. Sarebbe veramente assurdo che gli atenei italiani fossero tenuti dalle norme comunitarie ad assicurare un titolo avente valore legale nel nostro Paese a studenti che hanno compiuto percorsi differenziati parziali in altri Paesi dell'Unione Europea, mentre questa flessibilità sarebbe impedita agli studenti che hanno compiuto lo stesso percorso nel nostro paese.
Pur rifiutando qualunque ipotesi di regionalizzazione del sistema universitario italiano, appare invece opportuno confermare e rafforzare uno solo degli aspetti delle attuali procedure di approvazione delle nuove iniziative didattiche: il parere dei comitati regionali di coordinamento. Allo scopo di evitare che sullo stesso bacino regionale si affollino proposte di nuovi curricula eguali o simili e per favorire il coordinamento tra gli atenei e il decentramento degli insediamenti, la CRUI ritiene opportuno che si stabilisca definitivamente che
ogni nuova iniziativa didattica di un ateneo deve essere positivamente valutata dal corrispondente comitato regionale
.
Come si comprende da quel che precede e come già annunciato nella premessa, in realtà
è lo stesso modello dei piani triennali di sviluppo disegnato dalla Legge 245/90 che dovrebbe essere radicalmente mutato.
I piani di sviluppo, meglio se quinquennali, dovrebbero fornire il momento e il luogo in cui il Paese, nelle sue massime espressioni governative e parlamentari di coordinamento tra la politica universitaria e le altre politiche, dibatte sullo stato del sistema universitario e decide sull'entità globale delle risorse statali aggiuntive da destinare nel quinquennio successivo alla ricerca e alla formazione universitarie. Successivamente i finanziamenti, garantiti per l'intero quinquennio, andrebbero poi annualmente distribuiti ai singoli atenei in relazione ai risultati didattici e di ricerca da essi conseguiti, attivando così un circuito virtuoso (finanziamento - risultati - valutazione - finanziamento) che garantirebbe un aumento certo dell'efficienza e dell'efficacia del sistema formativo superiore e di ricerca del nostro paese.
Sul piano delle risorse si è già notato che il piano di sviluppo 1997-1999 dà una risposta limitatissima rispetto al necessario; si potrebbe però cogliere l'occasione per individuare e fissare una nuova procedura dei piani di sviluppo che parta dall'inizio del nuovo secolo e per tentarne una sua parziale sperimentazione nel prossimo triennio.
Valutazione di qualità e ripartizione delle Risorse

Sembra inutile ripetere quanto sia importante istituire un sistema di valutazione della qualità delle attività universitarie in un sistema centrato sulle autonomie e in un contesto europeo in cui lo stesso obiettivo è al centro delle politiche universitarie di tutti i Paesi (si veda ad esempio il rapporto finale sul progetto pilota europeo cui anche l'Italia ha partecipato nel 1995).
La messa a punto di un

sistema nazionale sperimentale di valutazione
(della ricerca, della didattica e dei servizi) e una prima
ripartizione di fondi aggiuntivi agli atenei
in base ai risultati della valutazione (naturalmente tenendo anche conto della consistenza di ogni ateneo e delle necessità di riequilibrio sul finanziamento storico) è un obiettivo certo difficile ma non irrangiungibile nel triennio. Altre esperienze europee mostrano che è possibile garantire oggettività e trasparenza nelle procedure di valutazione e indicano come raggiungere quel ragionevole livello di consenso tra i docenti e tra gli studenti che è necessario garantirsi attorno ad ogni metodo di valutazione. La CRUI ritiene opportuno che una parte pari a circa
il 50% dei finanziamenti del piano triennale 1997-1999 debba essere destinata a questo obiettivo
, per un totale attuale di circa
165 miliardi
nel triennio.
Questa parte del finanziamento del piano di sviluppo dovrebbe essere totalmente
consolidata nel finanziamento ordinario
alla fine del triennio (cioè riportata dal cap. 1256 al cap. 1529 del bilancio statale) per assicurare agli atenei la continuità delle risorse che provengono da scelte organizzative e da investimenti per migliorare la qualità.
La ripartizione di questa quota di risorse (in una o due tranches) non sarebbe direttamente collegata ai piani di sviluppo dei singoli atenei e quindi non necessiterebbe delle farraginose procedure attuali per l'approvazione dei piani di sviluppo, anche se naturalmente la capacità di un ateneo di attrarre studenti e docenti offrendo nuovi, attraenti e ben strutturati percorsi formativi è certamente uno dei fattori che definisce la qualità di un'università. I piani di sviluppo dei singoli atenei rimarrebbero invece come documento che costituisce un'occasione importante e lo stimolo di scelte e indirizzi strategici all'interno dell'ateneo come pure il momento di coordinamento su scala regionale all'interno dei comitati regionali di coordinamento.
Una corretta valutazione della qualità delle attività universitarie avrebbe anche come effetto indotto di stimolare interventi dei singoli atenei in tema di
diritto allo studio
, perché premierebbe quelli che ottengono risultati positivi sul fronte della soddisfazione studentesca attenuando od eliminando quegli elementi di disagio (abbandoni, eccessiva durata degli studi) a cui si è sopra accennato, più estesamente analizzati in [PG] insieme agli urgenti e specifici interventi sul diritto allo studio che spettano allo Stato e alle Regioni.
Organico Virtuale del Personale

A differenza dei precedenti piani di sviluppo ma in coerenza con quanto finora espresso, il piano 1997-1999

non dovrebbe ripartire tra gli atenei alcuna risorsa finanziaria destinata ad assumere nuovo personale docente o non docente
, essendo gli atenei liberi di destinare a tal scopo risorse finanziarie assegnate sui fondi di piano o comunque reperite.
Si pone invece il problema di quegli atenei il cui organico virtuale (stabilito con un indicatore numerico globale calcolato in base al personale docente e non docente in servizio nel 1993) risulti interamente o quasi interamente coperto. In questi casi, peraltro rari e limitati alle università di recente istituzione o di piccole dimensioni, il limite globale di spesa imposto dalla Legge 537/93 impedisce di assumere nuovo personale.
La CRUI ritiene opportuno che questi atenei, motivando e documentando la richiesta, possano essere autorizzati nell'ambito del piano 1997-1999 ad aumentare l'indicatore numerico globale in modo da poter poi procedere sulle proprie risorse alle assunzioni di personale necessarie al loro sviluppo.
Cofinanziamento di fondi comunitari per la formazione e per la ricerca

Uno dei cardini dei grandi finanziamenti dell'Unione Europea è la necessità di cofinanziamento da parte dello Stato nazionale interessato e la dimostrazione dell'aggiuntività di questo cofinanziamento rispetto ai finanziamenti ordinari. I fondi dei piani di sviluppo permettono con facilità il rispetto del principio dell'aggiuntività e quindi sono particolarmente indicati per giocare da cofinanziamento di progetti italiani nell'ambito di quadri comunitari.
In prosecuzione di quanto effettuato nel piano triennale 1994-1996, appare dunque assolutamente

prioritario
garantire il
cofinanziamento
di quelle tipologie di iniziative didattiche per le quali si è già ottenuto l'inserimento nei finanziamenti comunitari del
Fondo Sociale Europeo
, sia per le regioni dell'Obiettivo 3 (Centro-Nord, progetto CAMPUS per i diplomi professionalizzanti di modello europeo), sia per le regioni dell'Obiettivo 1 (Sud, diplomi e dottorati di ricerca del progetto a titolarità MURST).
Come novità rispetto ai piani precedenti e come segno di un'improcrastinabile nuova attenzione ai problemi della ricerca universitaria, la CRUI ritiene che una parte dei fondi del piano dovrebbe essere destinata al
cofinanziamento di iniziative di ricerca
nell'ambito dei molti programmi europei che prevedono questa forma di cofinanziamento da parte dello Stato nazionale interessato e che finora hanno visto esclusi i gruppi di ricerca italiani per la difficoltà di reperire questo cofinanziamento. Per maggiori dettagli su questa problematica la CRUI rimanda al documento sulla ricerca universitaria, approvato all'inizio del 1996 e allegato a questa relazione.
A questi cofinanziamenti la CRUI ritiene che dovrebbero essere destinati circa
59,4 miliardi
nel triennio, pari attualmente al
18% dei fondi del piano 1997-1999
. Nonostante che in linea di principio non sia necessario che questo tipo di impegno finanziario si consolidi nel finanziamento ordinario, la CRUI sottolinea l'opportunità che vengano prese per tempo misure finanziarie atte a permettere agli atenei che fruiranno fino al 1999 dei finanziamenti comunitari di consolidare definitivamente nei primi anni del 2000 le iniziative didattiche lanciate con il sostegno europeo.
Ricerca Universitaria

L'università italiana vuole continuare a caratterizzarsi come il luogo in cui coesistono ed interagiscono ricerca e istruzione superiore. Negli ultimi anni si è assistito ad una forte polarizzazione dell'attenzione sulla formazione, i cui parametri sono divenuti quelli su cui, quasi esclusivamente, si è basata la discussione sulla ripartizione delle risorse sia a livello nazionale che locale. Attenzione benefica perchè è venuta a sostituire una certa disattenzione preesistente. Però non bisogna correre il rischio che la sottovalutazione del ruolo della ricerca universitaria libera o di base finisca col farla soffocare, smarrendo quell'unità tra ricerca e istruzione che è il fondamento di ogni università di tipo europeo.

La ricerca universitaria libera o di base, che potrebbe anche definirsi non finalizzata e a rilevanza sociale differita, va rilanciata presso gli atenei.
Si tratta di una condizione necessaria alla vita stessa degli atenei ma è anche una condizione affinché il sistema ricerca del nostro Paese (formato da università, enti di ricerca ed imprese) mantenga e accresca il suo ruolo sul fronte della ricerca da applicare e finalizzare, dell'innovazione e delle tecnologie da trasferire alle imprese.
Il sistema universitario italiano si attende dunque dal piano di sviluppo almeno un segnale di inversione di rotta. Oltre al già citato cofinanziamento di iniziative comunitarie in questo campo, sarebbe opportuno che fosse istituito nel bilancio dello Stato un nuovo capitolo di spesa del MURST destinato al cofinanziamento della ricerca universitaria libera e di base condotta da dipartimenti e centri interdipartimentali universitari o da consorzi e centri interuniversitari sui temi stabiliti come prioritari dallo stesso MURST nel quadro della politica nazionale della ricerca (obiettivi nazionali di ricerca). In tale capitolo potrebbe subito confluire quello attualmente destinato alle grandi attrezzature scientifiche (circa 20 miliardi per anno) ed una quota di
33 miliardi (pari al 10%) sui fondi del piano 1997-1999
. Supponendo un cofinanziamento delle università e dei consorzi pari al 50%, ciò potrebbe movimentare una spesa totale di oltre 100 miliardi nel triennio per la ricerca universitaria.
Si noti che i fondi cosiddetti 40%, che attualmente costituiscono l'unico finanziamento nazionale della ricerca universitaria, sono nella maggior parte dei casi solo un piccolo incremento dei finanziamenti di ateneo resi disponibili ad ogni gruppo di ricerca.
Una particolare attenzione dovrebbe essere dedicata al problema delle
attrezzature scientifiche
. Essendo ormai lontani gli anni in cui il forte aumento dei fondi della ricerca permise di dotare i laboratori di attrezzature sofisticate e costose, il parco delle attrezzature scientifiche a disposizione degli atenei appare mediamente sempre più obsoleto, mentre è molto difficile trovare negli attuali finanziamenti gli spazi finanziari per mantenere aggiornati i laboratori con acquisti di una certa importanza.
Occorre anche tener presente che la politica dell'Unione Europea nel campo della ricerca sembra ormai decisamente orientata a sostenere finanziariamente con fondi comunitari solo la ricerca finalizzata ed industriale,
lasciando ad ogni Paese il finanziamento della ricerca di base
. La scelta europea non appare particolarmente lungimirante e la si potrebbe contrastare nelle sedi opportune, ma non si può non trarne rapidamente le conseguenze, che sono appunto nel senso di destinare sul bilancio statale quote più consistenti alla ricerca universitaria e anche introdurre specifici incentivi (fiscali o di altro tipo) a favore di quelle imprese disposte a finanziare gli atenei per la ricerca.
Un accenno infine ad una specifica e strategica infrastruttura che riguarda tutta la ricerca universitaria italiana:
la rete telematica delle università
come adeguamento ed estensione della rete GARR, alla cui progettazione la CRUI ha dedicato un documento nel maggio 1996. Un piano di sviluppo delle università non può trascurare questo problema, che deve trovare rapida soluzione operativa e che necessita probabilmente di qualche cofinanziamento sui fondi del piano 1997-1999 che potrebbe essere valutato in
16,5 miliardi pari a circa il 5%
dei fondi attualmente disponibili.
Nuove Università

La CRUI ritiene assolutamente necessario

sospendere nel triennio 1997-1999 l'istituzione di nuovi atenei
. I costi di una nuova università sono del tutto incompatibili con le attuali disponibilità finanziarie statali, visto che queste non riescono nemmeno ad assicurare il decoroso sostentamento delle molte nuove università istituite nello scorso decennio. Inoltre il sistema universitario ha bisogno di una fase di assestamento, prima di essere sottoposto a nuove tensioni, per giunta in un periodo in cui si annuncia un graduale decremento degli studenti per ragioni demografiche. Infine anche metodi di decentramento territoriale, già attuati da alcuni atenei, potrebbero rispondere meglio dell'istituzione di nuovi atenei alle esigenze ed opportunità del territorio, verificate in sede di comitato regionale di coordinamento.
Accordi di Programma per gli atenei di recente istituzione e per i sistemi universitari delle aree metropolitane

Innanzitutto sarebbe opportuno che si colga l'occasione del piano 1997-1999 per stabilire finalmente

norme chiare per la stipula degli accordi di programma
tra atenei e il Ministero. Gli accordi di programma andrebbero in linea di principio riservati solo alla soluzione di problemi speciali riconosciuti come tali solo dopo essere stati definiti obiettivi prioritari da parte del Ministero e accettati dalla CRUI e dal CUN.
Due problemi di questo tipo provengono dagli atenei di recente istituzione e dai sistemi universitari delle aree metropolitane.
Appositi accordi di programma, stipulati anche con il contributo degli enti locali interessati, dovrebbero regolare il finanziamento, sui fondi di piano, del
consolidamento delle università di recente istituzione
. Dovrebbero essere finanziamenti, o meglio cofinanziamenti, esclusivamente destinati a realizzazioni strutturali pronte per l'esecuzione, in modo da non creare effetti di trascinamento sui bilanci statali futuri né differimenti di spesa di somme già disponibili.
Un altro caso è rappresentato dai sistemi universitari delle aree metropolitane che finiscono col costituire un problema per l'intero sistema universitario italiano. La strategia di attacco ai problemi dei cosiddetti mega-atenei prevista nei piani precedenti non ha dato i risultati sperati riguardo al decongestionamento di questi atenei; occorre dunque cambiare strada.
Un accordo di programma per ognuna delle aree metropolitane interessate
, che veda presenti tutti gli atenei della regione e che contenga le procedure attuative di un
sistema di università autonome
, ognuna dotata di specifica identità logistica e fra loro complementari dal punto di vista del bacino territoriale, potrebbe essere la soluzione migliore. In tal caso si dovrebbe concedere un'eccezione rispetto al principio di non istituire nuove università, eccezione sui generis perché queste nuove università nelle aree metropolitane dovrebbero provenire come strutture e personale dallo scorporo di parti coerenti dalle università esistenti; gli eventuali cofinanziamenti all'accordo di programma sui fondi del piano di sviluppo dovrebbero essere relativamente ridotti e limitati a necessità iniziali del sistema metropolitano più che di una singola università.
A questi accordi di programma, sia quelli relativi alle università di recente istituzione, sia quelli relativi ai sistemi universitari metropolitani, potrebbero essere riservati circa
46,2 miliardi, pari ad un ulteriore 14% dei fondi di piano
attualmente disponibili, comunque non consolidabili dopo la fine del triennio.
Altri Accordi di Programma

La quota residua

del 3%
dei fondi del piano, pari a circa 9,9 miliardi, potrebbe essere riservata ad altri accordi di programma che abbiano le caratteristiche di problemi speciali di interesse per l'intero sistema universitario. Tra di essi se ne menzionano solo due a titolo esemplificativo per la loro particolarità e per la loro innovatività.
Il sistema delle
scuole universitarie di eccellenza
, e in genere della formazione di eccellenza, è stato in Italia molto trascurato rispetto ad altri Paesi europei. Sarebbe opportuno ripensare a questo aspetto del sistema universitario, peraltro molto delicato e in cui è necessaria un'attenta e meditata gradualità.
Altrettanto negletto il problema, di prevalente competenza degli enti territoriali, delle
residenze per gli studenti universitari
, non solo per quelli che provengono da famiglie a basso reddito e sono assistiti dagli enti per il diritto allo studio, ma anche per quelli (italiani o stranieri) le cui famiglie potrebbero sostenere i costi dell'alloggio in case dello studente o comunque in soluzioni residenziali progettate specificamente per gli studenti universitari. La libertà di scelta dello studente tra gli atenei italiani e quindi il corrispondente sostegno alla mobilità interregionale (come a quella intereuropea) dovrebbe essere uno dei capisaldi del sistema universitario di atenei autonomi che si è venuto disegnando in Italia.
Università non statali

La normativa relativa alle università non statali (o libere) e la normativa delle università statali vanno armonizzate tra loro: infatti le Università libere fanno parte a pieno titolo del sistema universitario italiano in quanto sono autorizzate a rilasciare titoli legali, sono parzialmente finanziate dal Ministero e i loro docenti appartengono al ruolo unico; contemporaneamente esse utilizzano molto spesso personale docente delle università statali e comunque competono con esse per l'utenza studentesca, senza peraltro essere sottoposte agli stessi limiti normativi in tema di accesso degli studenti e di importo delle tasse e contributi.
Parallelamente a quanto detto per le università statali, dovrà dunque essere

sospeso nel triennio 1997-1999 il riconoscimento di nuove università non statali
. Inoltre, per quelle esistenti, la normativa per l'autorizzazione al rilascio di nuovi titoli di studio dovrà essere
identica
a quella sopra delineata per le università statali; in particolare dovrà essere richiesto il parere del comitato regionale di coordinamento interessato, nel quale peraltro le università non statali dovranno essere presenti come le statali.
Un altro intervento normativo urgente è quello che riguarda le regole per
l'utilizzazione dei docenti delle università statali da parte delle università libere e viceversa
. Anche qui, sulla base del principio della competitività, le nuove norme devono garantire diritti e doveri equivalenti alle università statali e non statali, come ai docenti delle une e delle altre.