CRUI - Per un programma di governo
sull'Università italiana


Presentazione

L'Assemblea della Conferenza dei Rettori ha approvato il 18 aprile 1996 il documento che segue, intendendo dare un contributo serio e concreto alle strategie delle scelte di governo riguardanti la politica della formazione superiore e della ricerca in Italia, indipendentemente dalla coalizione che riuscirà vincitrice delle elezioni politiche del 21 aprile.
Il documento, sicuramente conciso, non rende certamente conto in modo esaustivo della vastità e complessità degli attuali problemi del sistema universitario italiano, né entra nei dettagli delle soluzioni operative. Pur in questo quadro, non rinuncia però a prendere posizione su quali siano i temi più importanti e i relativi obiettivi di intervento. È nelle intenzioni della Conferenza proseguire nel contributo di conoscenza e di proposta sul governo del sistema universitario italiano mediante documenti analitici sui singoli problemi, in una linea di ampia collaborazione con tutti gli attori della politica universitaria italiana.

Premessa

Alle soglie del 2000 l'Italia non ha alternative ad una strategia di sviluppo che fondi la sua capacità competitiva sulla ricerca, sull'innovazione tecnologica e sulla necessaria, e conseguente, alta qualificazione della sua forza lavoro. Gli Stati Uniti, il Giappone e la maggior parte dei paesi europei stanno lavorando con fantasia e largo impiego di mezzi per mantenere o migliorare la loro posizione nella situazione di competizione globale e di mercati globali che si sta sempre più affermando.
La definizione del livello di investimento in ricerca e educazione superiore è per il nostro Paese scelta politica decisiva delle sue sorti nei prossimi anni:

In Italia l'università produce ricerca, forma i ricercatori e ad essa è affidata, quasi interamente, l'educazione superiore. Per investire nel suo futuro l'Italia deve poter contare sul contributo della sua università che deve essere messa in condizione, e volere essa stessa, di agire come fattore di cambiamento.
Negli ultimi dieci anni il sistema universitario si è profondamente trasformato per adeguarsi alle nuove esigenze della società italiana. Tuttavia, pur soddisfacendo una maggior domanda di ricerca e formazione, le università non hanno potuto parallelamente soddisfare compiutamente la richiesta di allineamento qualitativo della propria attività di ricerca, formativa e di servizio. Inoltre, ad un profondo cambiamento dell'accesso formale all'educazione universitaria non è corrisposta la creazione delle condizioni esterne per una corretta e reale fruizione della formazione universitaria da parte delle fasce sociali meno abbienti. Questo è in gran parte dovuto ad un mancato adeguamento del livello di risorse destinate alla crescita dell'offerta universitaria italiana: il numero degli addetti, le infrastrutture e le strutture sono rimasti sostanzialmente invariati, mentre il numero degli studenti è triplicato dal 1970 e sono nettamente diminuiti dai primi anni '80 i finanziamenti per la ricerca.
In condizioni, in qualche caso drammatiche, di carenza di risorse adeguate, gli atenei italiani sono riusciti a sopravvivere, anche con risultati positivi, e a mettere in moto processi virtuosi di consistente aumento dell'efficienza e dell'efficacia della loro azione - processi purtroppo scarsamente percepiti dai media, e quindi dalla società civile, ma non dagli osservatori più attenti - grazie alla concessione di un certo grado di autonomia di gestione operata dalla legge finanziaria del 1994, all'avvio di una procedura, per quanto ancora da perfezionare, di riequilibrio del finanziamento statale agli atenei, oltre che all'introduzione di un sistema di valutazione della qualità dei processi e dei risultati delle attività universitarie.
Queste innovazioni normative hanno messo in moto processi che ci auguriamo irreversibili di confronto, valutazione e maggior responsabilizzazione nelle scelte accademiche interne ad ogni ateneo e tra atenei. Viene così confermata la relazione diretta tra maggior autonomia, maggior responsabilità e maggior efficienza ed efficacia. Questi processi rendono peraltro evidente l'obsolescenza di gran parte dell'impianto normativo che regge l'università italiana, tutto ispirato all'idea - valida nell'Italia dell'800 e forse perfino nell'Italia di questo dopoguerra - che un sistema universitario complesso e articolato come quello italiano possa essere governato da pervasive decisioni centrali.
è giunto il momento di scelte politiche chiare che ispirino un'azione di governo coerente almeno per tutta la legislatura che si va ad aprire.
Scelte politiche che assicurino la continuità di un convinto appoggio alle scelte innovative degli ultimi anni, prime fra tutte quell'autonomia gestionale che tante energie positive e responsabili ha liberato nei nostri atenei e quell'articolazione dell'offerta formativa nei tre livelli di qualificazione (diploma universitario, laurea, dottorato o specializzazione) che ha già promosso una nuova e rilevante capacità di raccordo con il mondo del lavoro, ottenendo immediati e positivi riscontri di inserimento nei programmi comunitari di formazione professionale superiore.
Scelte politiche che introducano altrettanto convinte discontinuità, che segnino una inversione di tendenza negli equilibri della spesa pubblica aprendo, entro parametri di sostenibilità nel quadro delle risorse finanziarie statali, prospettive di reale sviluppo del sistema universitario italiano come investimento significativo del Paese e nel necessario rapido sfrondamento e aggiornamento della normativa legislativa pregressa, laddove questa generi contrasti con il processo di autonomia degli atenei.
Autonomia Didattica

Agli atenei deve essere garantita la possibilità di una reale autonomia didattica nelle tipologie e nei contenuti dei curricula offerti agli studenti. L'obiettivo finale è quello di passare da una struttura centralistica di definizione dei contenuti e dei percorsi ad una struttura altamente flessibile, in cui il controllo a priori sia sostituito dall'accreditamento nazionale delle proposte di curricula avanzate dai singoli atenei, come del resto è tecnicamente necessario e opportuno per l'inserimento coerente della formazione superiore italiana nel contesto europeo. A ciò dovrebbe affiancarsi un ampliamento della tipologia dei titoli universitari da considerarsi equivalenti per l'accesso ai concorsi pubblici, dovendo in essi diventare preminenti la capacità individuale dei candidati e le professionalità maturate in relazione alle funzioni da svolgere.
Un altro obiettivo significativo dell'intero sistema formativo italiano, anche alla luce dell'attuale andamento demografico, dovrebbe essere quello di portare una percentuale rapidamente crescente di giovani al conseguimento di un titolo universitario. Ciò richiede ovviamente di passare ad un'ampia diversificazione, in durata e in tipologia, dei titoli offerti dalle università, riequilibrando l'utenza sui tre diversi livelli della formazione universitaria e facendo leva di nuovo sulla autonomia e flessibilità didattiche.
Un'autonomia che vada in questa direzione è inoltre l'unica che può rispondere all'estrema flessibilità e dinamicità, anche organizzativa, del sistema sociale ed alla globalizzazione del mondo del lavoro, che va anche al di là della realtà europea. Bisogna far convivere il modello tradizionale di università come centro di produzione e trasmissione del sapere con un modello più attuale in cui l'università - pur non riunciando alla sua missione di luogo di ricerca e di formazione per la ricerca e attraverso la ricerca - è anche centro di formazione professionale iniziale e continua (lifelong learning). Si tratta di trovare un difficile equilibrio tra una formazione ricca di dati culturali e metodologici, anche per i curricula professionalizzanti, ed una che arricchisca i tradizionali curricula delle lauree con esperienze dirette del mondo del lavoro.
Il modello attuale di università non può inoltre prescindere da un'ampia e libera offerta formativa di ogni singolo ateneo nel campo della formazione integrativa breve rispetto a quella dei corsi di studio tradizionali (ad esempio, i cosiddetti corsi Master), diversificando le proposte anche in concorrenza con il sistema della formazione integrativa privata. Analogo discorso va fatto per gli interventi nel campo della formazione permanente, immaginando che i diplomati o laureati di una università possano ritornare a seguire corsi universitari per brevi periodi durante la loro vita lavorativa, allo scopo di completare o aggiornare la loro preparazione.
Si noti che una formazione metodologica e critica è più duratura nel tempo ma può generare difficoltà nell'occupazione immediata del diplomato o laureato, e viceversa. Questo aspetto rimane anche legato alla programmazione degli accessi che può essere tanto più stringente quanto più specifico e professionalizzante è il percorso formativo.
Su questo tema è urgente il varo della normativa che fissi i principi di regolamentazione degli accessi e la definizione degli spazi di autonomia dei singoli atenei sulla materia.

Ricerca

L'università italiana vuole continuare a caratterizzarsi come il luogo in cui coesistono ed interagiscono ricerca e istruzione superiore. Per il raggiungimento di questo obiettivo occorre assicurare un fondamento scientifico alla formazione universitaria attraverso il potenziamento e lo sviluppo della ricerca all'università da finanziare con uno specifico aumento dei fondi statali e con norme che incentivino il finanziamento della ricerca da parte delle imprese e di altri attori sociali.
La ricerca di base, non finalizzata e a rilevanza sociale differita, va rilanciata presso gli atenei, non per una astratta difesa del principio della libertà accademica - che peraltro ha storicamente garantito l'evoluzione della scienza e della cultura - ma come condizione affinché il sistema ricerca del nostro Paese, formato da università, enti di ricerca ed imprese, mantenga e accresca il suo ruolo sul fronte della ricerca da applicare e finalizzare, dell'innovazione e delle tecnologie da trasferire.
Occorre inoltre che in sede europea l'Italia si adoperi per una corretta applicazione del principio di sussidiarietà, capace di tener conto delle esigenze della ricerca di base (il cui finanziamento è spesso palleggiato tra livello europeo e livello nazionale o locale) e per una maggiore considerazione della ricerca nelle aree delle discipline umanistiche e sociali.
L'investimento in ricerca è anche e soprattutto investimento in ricercatori. Occorre che i giovani italiani, che si avvicinano alla ricerca, siano messi in grado di frequentare centri di eccellenza di livello mondiale e inseriti in reti e circuiti di centri formativi che assicurino una qualità elevata alla loro produzione scientifica.

Diritto allo Studio

Un'effettiva politica per il diritto allo studio deve fondarsi sul principio che l'esperienza universitaria degli studenti non si esaurisce nel rapporto didattico, ma va integrata con attività culturali, sportive e sociali e sostenuta dal finanziamento del mantenimento agli studi dei meno abbienti: politica da realizzare di concerto tra Stato, regioni e università. Un oggettivo punto di debolezza del sistema universitario italiano, da eliminare al più presto, è la carenza strutturale di posti alloggio, che limita anche la libertà degli studenti di scegliere tra le sedi universitarie.
Una nuova politica degli accessi deve favorire realmente l'ampliamento degli stessi, ma deve prevedere nel contempo un effettivo orientamento degli studenti su quegli obiettivi nazionali verso i quali si indirizzano i finanziamenti, pur lasciando ampi spazi di autonomia su obiettivi maggiormente rispondenti alle strategie delle singole università.
Inoltre il sistema universitario italiano non può non porsi il problema della preparazione e della motivazione degli studenti che si immatricolano, anche perché una loro scarsa preparazione o motivazione è la causa principale degli insuccessi e genera forti costi sia sociali che economici. Questi ultimi sono certamente quelli sopportati dallo studente e dalla sua famiglia per un impegno di studio che non porta ad un titolo spendibile sul mercato del lavoro, ma sono anche quelli sopportati dalle università per sopperire con un maggiore investimento in risorse umane e logistiche alla pressione di studenti che poi purtroppo non concludono il loro corso di studi.
Appare quindi necessario favorire in ogni modo un corretto orientamento che tenga conto delle attitudini e della preparazione personale dello studente, come anche l'offerta di servizi di particolare assistenza didattica universitaria agli studenti appena immatricolati. Sarebbe molto interessante recuperare tutti gli spazi possibili di collaborazione tra scuola secondaria superiore e università su questi temi. In particolare potrebbe studiarsi la possibilità che le università collaborino direttamente con le scuole secondarie superiori per adeguare e orientare la formazione impartita nel corso dell'ultimo anno prima della maturità.
Non meno preoccupante del fenomeno degli abbandoni (drop-out) - anzi forse più preoccupante visto che l'Italia non ha un sistema generalizzato di regolamentazione degli accessi - è quello del progressivo allungarsi delle carriere studentesche all'interno delle università, che denota un malessere grave del sistema didattico. Ogni sforzo deve essere fatto per riportare gradualmente la durata effettiva dei corsi di studio a valori più prossimi alla durata legale, con meccanismi di incentivazione degli studenti (tra cui non deve essere dimenticato l'impegno dei docenti per il tutorato), ma anche con meccanismi di revisione del carico didattico sugli studenti, attualmente a volte insostenibile anche da parte di coloro che sono impegnati a tempo pieno negli studi universitari.

Risorse Umane

Per quanto riguarda il reclutamento, i meccanismi di carriera e l'utilizzazione del personale docente, è necessaria una riforma per adeguare alla logica dell'autonomia il sistema delle norme, oggi così logorato anche nell'opinione pubblica ben oltre i suoi reali demeriti.
Le norme sui meccanismi di carriera e sull'utilizzazione dell'attuale personale docente vanno ripensate - anche individuando metodi di incentivazione per coloro che ottengono i migliori risultati nella didattica e nella ricerca - in modo che la necessaria difesa del principio della libertà accademica non impedisca un'efficiente programmazione didattica e un maggior impegno nella attività di insegnamento, anche ripartendo in modo equilibrato il carico didattico.
Le regole sul reclutamento devono essere riformulate con modalità che assicurino la più ampia platea, anche internazionale, del reclutamento, il massimo di trasparenza e la attenta valutazione delle qualità personali, ma soprattutto siano coerenti e compatibili con l'autonomia degli atenei e con le responsabilità connesse ad essa, che sono insieme culturali e gestionali. Vi è anche l'obiettivo strategico di ampliare la base dei giovani ricercatori, anche per non vanificare l'investimento fatto nella formazione dei dottori di ricerca, favorendo con opportuni meccanismi un netto ricambio generazionale nel mondo universitario. Deve inoltre essere per sempre rifiutato ogni tipo di ricorso a tecniche di scorrimento di carriera ope legis, come di fatto è avvenuto negli anni '70 creando le condizioni di molte delle difficoltà attuali.
In tema di reclutamento, meccanismi di carriera e utilizzazione del personale tecnico-amministrativo, nell'ottica di un'azienda pubblica gestita con criteri manageriali, è opportuno investire, oltre che in risorse finanziarie, in norme che diano ampia flessibilità di gestione e di innovazione, nel quadro di una sperimentazione nelle università di un nuovo modello organizzativo dell'intera pubblica amministrazione.

Risorse Finanziarie

Il passaggio delle università da amministrazioni pubbliche ad ordinamento centrale a vere e proprie aziende pubbliche (si noti che non è e non deve essere messa in discussione l'appartenenza del sistema universitario al settore pubblico) richiede molta chiarezza sull'equilibrio tra le fonti di finanziamento. Queste rimangono lo Stato, gli studenti, gli enti pubblici e privati per le attività, commissionate o in collaborazione, di ricerca e di didattica: la prima fonte di finanziamento, lo Stato, deve rimanere assolutamente preponderante, acquisendo così il diritto-dovere di fissare gli obiettivi fondamentali delle aziende-atenei; la seconda, gli studenti, deve essere sufficiente a misurare l'interesse e la compartecipazione degli utenti ai costi, senza d'altra parte rendere impossibile l'accesso agli studenti provenienti dalle classi meno abbienti.
A proposito della contribuzione studentesca deve essere ricordata la sostanziale iniquità sociale di un tetto massimo di contribuzione (che quindi va abolito), mentre appare auspicabile il ricorso ad altre misure che garantiscano un'equità di prelievo ed una solidarietà sociale intrauniversitaria, ad esempio destinando una ben definita quota percentuale della contribuzione studentesca al finanziamento di borse di studio di ateneo per gli studenti meritevoli meno abbienti. Un obiettivo nazionale ragionevole in questo campo potrebbe essere quello di portare almeno il 10% degli studenti universitari a godere di una borsa di studio.
Come è naturale in ogni sistema gestito modernamente in un quadro di autonomia budgetaria, è al quadro finanziario che va riportata ogni proposta di governo. Per ovviare alle deficienze riscontrate, per raggiungere gli obiettivi indicati, per puntare ad un graduale riallineamento con gli standard europei dei finanziamenti agli atenei, le proposte qui delineate di uno sviluppo del sistema universitario italiano - che deve anteporre il consolidamento delle attuali strutture alla eventuale istituzione di nuove sedi universitarie - dovrebbe prevedere un investimento statale aggiuntivo quantificabile in 24.500 miliardi nel quinquennio 1997-2001 (di cui solo 6.150 miliardi da consolidare negli anni successivi).
L'investimento integrativo di 24.500 miliardi corrisponde a quattro quote distinte:

La situazione può essere riassunta nella seguente tabella dei finanziamenti aggiuntivi.

1000 1000 250 400 2650
2000 1000 375 400 3775
3000 1000 500 400 4900
4000 1000 625 400 6025
5000 1000 750 400 7150
15000 5000 2500 2000 24500
2002 5000 750 400 6150

Il problema dell'adeguamento delle risorse finanziarie complessive per il sistema universitario è senza dubbio quello centrale e cruciale. Se non verrà affrontato in modo deciso e prioritario, ogni altro intervento legislativo diventerà velleitario.