DISEGNO DI LEGGE
" Disposizioni riguardanti il settore universitario e della ricerca scientifica.
...... omissis"
Art. 1 Differimento di termini nel settore universitario e della ricerca scientifica
Riemerge una linea di politica legislativa che si aveva motivo di ritenere superata, per varie e serie ragioni.
A partire dalla XI legislatura, le Università italiane hanno visto definirsi in termini chiari ed univoci, per effetto di successivi interventi normativi, gli aspetti essenziali dell'autonomia costituzionalmente loro attribuita. Particolare rilievo a tale riguardo riveste la piena investitura della gestione delle proprie risorse, ivi comprese le risorse umane.
Interventi ispirati ai medesimi principi, di autonomia e correlativa responsabilità, hanno interessato tutte le amministrazioni pubbliche, specie quelle dotate di autonomia costituzionalmente riconosciuta, quali - oltre alle Università - le Regioni e gli Enti locali.
L'ultimo di tali interventi è contenuto nella legge Bassanini 127/97, seguita dal ministro proponente nell'iter parlamentare con una determinazione che ne evidenzia l'importanza, quale passaggio fondamentale nella realizzazione del programma di Governo, che pone al primo posto il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e in particolare della formazione.
Nel nuovo sistema, alle amministrazioni spetta definire, con ampia discrezionalità, le proprie politiche del personale, mentre spetta alla contrattazione collettiva assicurare insieme omogeneità e flessibilità. Il raccordo tra esigenze dell'Amministrazione e quanto viene definito dalla contrattazione collettiva è assicurato dal vincolo di rappresentanza (in sede nazionale tra le amministrazioni di ciascun comparto e l'A.R.A.N., e in sede decentrata tra l'amministrazione e la propria delegazione), vincolo che la riforma introdotta dalla L. 59/97 rende più effettivo e stringente, prevedendo che le associazioni rappresentative delle amministrazioni, in ciascun comparto, diano luogo a un Comitato di settore con il compito di fornire indirizzi e direttive all'A.R.A.N., e di esprimere le proprie valutazioni sugli accordi raggiunti tra A.R.A.N. e organizzazioni sindacali.
La maggiore autonomia delle amministrazioni comporta che per le scelte di dettaglio non si debba più ricorrere allo strumento legislativo, cui resta riservata la definizione dei principi. Questa conseguenza, che a livello generale è ispirata a ragioni di coerenza, a maggior ragione si impone nelle Università, dove è convinzione generale che gli interventi legislativi susseguitisi dagli anni 80 e le logiche di sanatoria da essi perseguite abbiano favorito l'immissione di personale non adeguatamente selezionato, e siano tuttora alla base della conflittualità che si registra tra le diverse categorie di personale.
Stupisce, quindi, che lo stesso Governo che ha fatto dell'autonomia delle amministrazioni la propria bandiera si sia dichiarato favorevole, nella competente Commissione del Senato, ad un disegno di legge dal titolo non esaustivo e dall'ibrido tema, contenente disposizioni mirate ad intervenire sull'assetto ordinamentale del personale universitario. Contrariamente alla regola che si riteneva ormai affermata, che la risorsa umana e la sua prospettiva di carriera va gestita non più per singoli atti ma nel quadro della contrattazione nazionale, per l'ennesima volta si assiste ad un tentativo di violazione di norme precise sollecitato dalla specifica lobby degli ex tecnici laureati. È imperativo un accenno al contenuto delle disposizioni di cui ai citati due commi 10 e 11 che da un lato vincolano il futuro contenuto degli accordi di comparto prevedendo anche già una "prima applicazione" in sanatoria e dall'altro fanno rivivere l'ormai estinto "giudizio di idoneità" per far transitare gli ex tecnici laureati (e forse anche i collaboratori e funzionari tecnici?) in un ruolo obsoleto quale quello degli assistenti che risulterà così nuovamente affollato. Scelta, poi, quest'ultima, anche in contrasto con la filosofia di accesso alla carriera universitaria che dovrebbe perseguire la linea di reclutare forze fresche e produttive. Prescindendo, però, dallo sconvolgente citato contenuto della disposizione, si contesta la linea di fondo di consentire che titolari di interessi di parte riescano a "sistemare la loro posizione" attraverso un intervento legislativo a loro direttamente mirato. Non può accettarsi, e pertanto si chiede l'immediato stralcio dei citati commi, che mentre si era imboccata in modo inequivocabile la linea della contrattazione per il governo della risorsa umana e nel mentre una commissione nazionale prevista dall'art. 50 CCNL della categoria sta lavorando per portare avanti la Revisione dell'ordinamento per tutto il personale universitario si permetta, contemporaneamente, per via legislativa, la riapertura della stagione delle pressioni categoriali che già tanti danni hanno creato in un passato neanche remoto (v. leggi 312/80, 63/89, 21/91) e da cui si riteneva di essersi ormai affrancati.
Si segnala anche l'inedita situazione che si verrebbe a creare di un passaggio ope legis di una categoria del personale tecnico-amministrativo contrattualizzato ad una categoria del personale docente non contrattualizzato.
L'imperativo che sta ispirando i lavori della suddetta commissione, formata dai rappresentati delle parti politiche e dei datori di lavoro, è dato dalle direttive A.R.A.N. ed è nel senso di non procedere "a passaggi di livello, a ricompattamenti, a reinquadramenti ed a livellamenti delle qualifiche funzionali, né a creazione di livelli differenziati anche solo economici; operazioni che negli anni recenti hanno prodotto slittamenti generalizzati verso qualifiche superiori, con notevoli costi economici e senza alcun reale incremento di produttività".
In tale scena politica non può accettarsi l'intervento degli stessi attori che però si fanno promotori di una politica completamente diversa.
È poi quanto meno scorretto scaricare sulle Università le conseguenze economiche di tale infausta scelta tra l'altro addirittura vincolando la possibilità di effettuazione degli inquadramenti alle disponibilità di budget del singolo Ateneo con il delinearsi, quindi, già all'orizzonte di un ennesimo potenziale contenzioso.
Si ribadisce, pertanto, la necessità di stralciare le suddette previsioni, che indicano il riaffermarsi di una politica mirante alla ricerca del consenso e non a quella del contenimento della spesa e della razionalizzazione dei rapporti di lavoro, lasciando che sia la commissione nazionale di cui all'art. 50 CCNL a definire il quadro di principi per la revisione dell'ordinamento del personale; principi che troveranno, poi, il loro completamento da parte delle singole sedi attraverso la produzione ordinamentale.
Desta, infine, preoccupazione il fatto che, mentre attua un'incursione nello spazio riservato alla contrattazione, il legislatore - cui spetterebbe ogni decisione comportante incrementi di spesa pubblica, ovvero riallocazione di risorse - si guardi bene dall'intervenire negli spazi che gli competerebbero. L'intervento di reinquadramento previsto esclude infatti espressamente che possa esservi onere per il bilancio dello Stato, ancorché il reinquadramento medesimo sia destinato a comportare un costo certo e fin d'ora quantificabile.
Pertanto, delle due l'una: